Figli di ciò che non si sa più amare

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«Ti fa male?»

«Non ti preoccupare, Eve, brucia solo un po'» la rassicurai, mentre lei tamponava le mie sbucciature con ovatta pregna di disinfettante. Il suo sguardo era fisso sulle ferite, cercava di medicarle con una precisione quasi chirurgica, e la passione che metteva nel farlo mi fece sorridere. Era passato davvero tanto tempo dall'ultima volta che qualcuno si era preoccupato di curarmi.

«Non avresti dovuto farlo» la sentii dire. Ero seduta sul bordo del letto, e lei era al mio fianco. Mi sollevò il braccio per raggiungere il punto scrostato sul gomito e tamponarlo. «Non avresti potuto sapere come avrebbe reagito.»

«Non hai tutti i torti» ammisi. «Ma...» Esitai per un istante. «Non voglio essere quel genere di persona che volta le spalle alla sua amica solo per restare incolume.»

Eve richiuse le labbra, mi accorsi che le tremavano con forza. Mi domandai se per la paura di quello che avevamo appena vissuto o per la felicità provocata dalle mie parole. Nei suoi occhi scorgevo un rammarico che non sapevo interpretare, una sofferenza antica che le scioglieva lo sguardo, l'espressione dolente del viso.

«Sai» disse alla fine, la voce bassa, «un tempo io... avevo tante amiche.»

Mi prese l'altro braccio e iniziò a medicarlo, rifiutandosi di incrociare i miei occhi.

«Mi divertivo un mondo con loro» ammise, una risata amara a travolgerla, «ero l'unica del gruppo che lavorava, perciò ero sempre io quella che offriva durante le uscite e faceva regali. Non mi pesava affatto, lo ritenevo giusto, visto che loro potevano contare soltanto sulla paghetta mensile dei genitori.»

Intuii subito dove sarebbe andata a finire quella storia, ma la lasciai parlare.

«Un giorno scoprii che alle mie spalle si incontravano e sparlavano di me. Dicevano che l'unica cosa buona che avessi era il mio aspetto, e che l'unico motivo per cui mi frequentavano erano i soldi.» Rise forzatamente. «Dissero anche che non avrei mai potuto trovare una persona che mi amasse veramente, solo uomini che mi avrebbero cercato per il mio corpo.»

Non parlai, la ascoltai soltanto, consapevole del fatto che era l'unica cosa di cui aveva veramente bisogno.

«Quando le confrontai, mi risposero che dovevo aspettarmelo» continuò. «"Con l'aspetto da sgualdrina che hai, credi davvero che qualcuno voglia stare con te per altro?" furono le loro parole.» Si fermò con l'ovatta a un centimetro dalla mia ferita. «Da allora, mi sono detta che non mi sarei più fatta delle amiche, che sarei rimasta da sola.»

Posai una mano sulla sua coscia, in segno di conforto, Eve mi accennò un sorriso stentato. «E non lo so, forse in qualche modo le loro parole mi sono rimasse impresse, così impresse che alla fine ho iniziato a crederci.» Si strinse nelle spalle. «Non ho una personalità interessante, l'unico punto buono è il mio aspetto. Forse è anche per questo che ho iniziato a frequentare così tanti ragazzi. Forse credo davvero che l'unico affetto che merito è quello sessuale. Forse penso sul serio di essere una puttana.»

Riuscivo a sentire la sofferenza nella sua voce, la malinconia che le stracciava le vesti e le carni, inquinandole la luce negli occhi.

«Eve» la chiamai, «anche se fossi davvero una puttana, meriteresti comunque affetto.»

Mi guardò in un modo che non so descrivere a parole, gli occhi azzurri si erano trasformati in due laghi cristallini, lucidi dalle lacrime, il volto scavato pronto a contorcersi nella sofferenza. Il dolore che vidi nel suo sguardo fu così profondo da incidersi anche nel mio cuore.

«Solo perché hai un bel corpo e un bell'aspetto» proseguii, «non significa che tu sia un oggetto da usare e poi buttare via. Né che tu non abbia nient'altro che questo. Sono tua amica non perché sei figa, ma perché dalla prima volta che ti ho visto ho pensato subito di volerti conoscere di più.» Le sorrisi con dolcezza. «Perché sei sicura di te, fiera, perché mi aiuti a prendermi cura del mio aspetto anche quando non voglio, perché ridi alle mie battute e ne fai altrettante. Perché sei sempre stata sincera con me.» Sollevai ancor più le labbra, mostrando i denti, a occhi socchiusi. «Non è la tua bellezza a definirti, Eve, non sei una bambola.»

Apologia di Callisto - COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora