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Mi regalò un portagioie. Era bellissimo, rosa con sfumature di blu. Appena lo aprivi una bambina spuntava e iniziava a danzare a ritmo di quella musica soave. Era delicata e si muoveva dolcemente, sì era una macchina ma sembrava fosse animata. Lo abbracciai.
- Non dovevi! -
Sorrise e mi baciò il naso. - Tutto per te... - dopo essere andati in giro per i vicoli popolati del paesino erano le cinque e quel caldo, quello che ti distrugge, che ti tormenta ci stava togliendo il fiato. Ritornammo a casa e trovammo la casa ancora vuota.
- Vado prima io a farmi la doccia? -
Annuii e lo vidi entrare in bagno. Cercai la spazola per farmi una coda decente, ma mi ricordai che era in bagno. Io e la mia fottuta fissazione dell'ordine! Bussai alla porta, ma Dylan non rispose. Sentivo l'acqua aperta, che scendeva ininterrottamente, pensai che magari era già sotto l'acqua e se avessi fatto piano non se ne sarebbe accorto...
Delicatamente abbassai la maniglia e aprii piano la porta. Notai che Dylan era davanti allo specchio, in mutande e maglietta che si osservava. Di colpo si girò verso di me. Aveva gli occhi lucidi e una lacrima gli rigava il viso.
- Abi, che ci fai qua? Volevi vedermi nei miei momenti più scuri? - fece un sorriso tirato. Entrai in bagno e lo guardai. - C'é... qualcosa che posso fare per te? -
Mi fissò negli occhi, mi scrutò con un'intensità tale da farmi venire i brividi, poi mi baciò. Come sempre rimasi un po' di titubante. Non potevo, ma volevo. In quei baci c'era una tale passione, un desiderio così grande che non riuscivo a fermare, a rifiutare.
Le sue labbra bagnate si stavano espandendo sul mio collo. Le pulsazioni di entrambi erano aumentate particolarmente e la foga e l'adrenalina mi spinsero a togliergli velocemente la maglietta, senza pensarci due volte. Lui tolse la mia e mi spinse sotto il getto d'acqua. Era fredda, ma non ci feci molto caso. Mi faceva male il cuore da quanto lo volevo. Ansimavamo e a ogni bacio l'acqua entrava nelle nostre bocche.
Poi accadde. Una figura entrò nel bagno. Urlai dallo spavento e il mio sangue si raggelò in un solo secondo.
- Isaac, non è come... -
- Ne discutiamo al momento opportuno. - fissò Dylan con odio. Quelle parole le aveva dette in modo glaciale. Subito dopo uscì dalla stanza.
- Mi dispiace. - mi sussurrò Dylan all'orecchio. - Ora... dovresti uscire dal bagno... -
Perfetto Isaac si era incazzato. E ora se la prenderà con Dylan e la loro amicizia si complicherá ancora, per colpa mia. Lo ritrovai nel corridoio. Aveva il fuoco negli occhi.
- Perfetto. Ci sei cascata anche tu. Abigail ti credevo più matura! -
- Non venire a giudicare Isaac. Lasciami perdere. Non ti permettere di parlare. Non sai nulla. - le mie parole erano acide. Non aveva il diritto di parlare senza sapere.
- Non lo so, ma lo immagino. Conosco Dylan. -
- Beh, allora io non sarei così sicura. Mi pare che sia da un po' che tu e Dylan non parliate. Holland ti ruba parecchio tempo per dedicare anche solo dieci minuti al tuo migliore amico, o così immagino. E ora scusa, ma devo andare a mettermi una maglia. - dissi indicando il mio regiseno nero. Chiusi la porta e mi appoggiai ad essa, scivolando per terra. Mi infilai una mano tra i capelli. Mi sentivo in colpa, ma speravo che le mie parole risparmiassero la ramanzina a Dylan.
Dopo qualche minuto uscii dalla stanza e incontrai Dylan in corridoio, il quale mi rivolse un sorriso tirato abbassando lo sguardo. Scendemmo le scale e al piano terra vi era un trambusto enorme, i nostri genitori erano arrivati e si stavano spargendo per la casa. Erano tutti un po' indaffarati. Dylan fermò Marta, afferrandola per il braccio.
- Oh, Tesoro, siete qui... dobbiamo andare dalle zie! Ci stanno aspettando... muovetevi. -
Mi osservò. - Oh cazzo! -
- È così grave? -
Annuì quasi terrorizzato. - Beh, dai ci divertiremo... -
Intonò una risata finta e risalì al piano di sopra.
Salimmo in macchina e arrivammo in un quarto d'ora. La casetta era ben tenuta ma molto piccola.
Marta si avvicinò alla porta con i pasticcini e suonò il campanello un po' arrugginito. Dei segni strani erano disegnati sui muri esterni di quella casetta.
Si sentì una vocina stridula da dietro la porta e lo sbattere delle ciabatte sul pavimento.
Non potei fare a meno di sorridere alla visione di quella donnina fragile che con due occhi chiari, quasi grigi ci stava sorridendo calorosamente.
- Sophi, sono qui! Vieni stupida! -
Altre ciabatte si avvicinarono alla porta. Questa era più robusta e con meno rughe. - Oh eccovi qui. - iniziarono a salutarci ed abbracciarvi. - Ciao ragazzaccio! Cresci sempre di più! - disse la zia robusta, pizzicandogli la guancia.
Il ragazzo mi circondò con il braccio.
- Zie quasta è Abigail. È la cugina di Isaac. - quest'ultimo si girò verso di noi, fissò il braccio di Dylan intorno alla mia vita. Dylan deve essersene accorso perché lo tolse velocemente. Non lo sopportavo più. Doveva darsi una control- no... aspetta IO, dovevo darmi una controllata! Io e Mitch stavamo... cercando di avere una relazione seria e ora io volevo la mano di Dylan sulla mia vita o anche di più.
Dylan mi risvegliò con una gomitata tra le costole. Guardai la zia che mi stava rivolgendo la mano e aspettava la stretta di cordialità. Mi schiarii la voce ed entrai in casa, seguita da Dylan. La serata passò molto lentamente, più che altro io la passai a messaggiare con Clary dopo aver finito la cena da più o meno sette portate. Mi ero seduta nel posto più lontano possibile da Dylan e questo lo aveva un po' turbato, lo gli si leggeva dal viso. Solo che odiavo quell' espressione triste perché sapevo che era solo, che non poteva parlare con nessuno, in fondo io, in che periodo, ero la sua unica amica. E nient'altro!
- Abigail e tu che pensi di fare da grande? -
Alzai di colpo la testa e sorrisi. - Bella domanda... non lo so neanche io. - rivolsi uno sguardo a mia madre. No, mamma. Non farò mai l'avvocato! Il sogno di mia madre era questo, che la sua dolce figlia diventi avvocato come sua madre. Se lo poteva pure scordare! Per fortuna mio padre riusciva a farla ragionare a volte.
- Mi piace molto psicologia, ma non saprei... - la zia più vecchia, mi pare si sia presentata con il nome di Stephany, mi rivolse un sorriso cordiale. Poi l'attenzione si rivolse verso Marta e io ritornai a farmi gli affari miei.
Dopo qualche minuto, con la scusa di andare in bagno, cercai l'uscita di quella casa.
- Lo sai che il bagno e dall'altra parte, vero? -
Mi voltai verso Dylan. - Veramente cercavo l'uscita... - rise e annuii come se mi capisse.
- Allora é da questa parte. - mi guidò fuori e ci sedemmo sugli scalini freddi.
Guardò per un po' il cielo, poi parlò.
- Ti vergogni di me, ora? - mi prese alla sprovvista. - Cosa? NO! Come mai questa domanda scema? -
- Ti sei seduta lontana e... non lo so, scusa. -
- Scusami tu, Dylan. Ti ho fatto di nuovo litigare con Isaac! -
- Ma sono io che ti ho baciato. -
- Io l'ho voluto... - sorrise e stette ad osservare il cielo per un tempo indeterminato.
Quando arrivammo a casa erano più o meno l'una passata. E come al solito Dylan si infilò nel mio letto. Ma io non stavo per niente bene.
Non ne potevo più. I sensi di colpa mi stavano mangiando letteralmente viva, dentro. Il cuore era rotto e faceva male, gli occhi bruciavano e mi imploravano di fare uscire lacrime calde e disperate. Non ne potevo più. Mi liberai in un pianto isterico, uno di quelli sinceri ma rumorosi, che non mi lasciavano respirare. Su di me c'erano pesi che non ero in grado di sorreggere. Era come se il mondo mi schiacciasse, mi seppellisse viva nelle tenebre più buie con solo i miei pensieri orribili nella mente.
Ero una stronza. Una stronza che giocava con i cuori delle persone che mi volevano bene. Cercai di trattenere quei singhiozzi vergognosamente isterici, ma questo non impedì a Dylan di svegliarsi. Accese la luce della lampada e mi girò lentamente dalla sua parte. Aveva capito tutto. Dal mio sguardo si leggeva il mio dolore, il mio dispiacere. Sospirò lentamente e mi abbracciò. Piansi la maggior parte delle ore di quella notte. Mi calmavo ma poi la mia mente rimuginava su tutto e la mia indecisione mi faceva di nuovo piangere come una scema in preda al panico. E il petto caldo di Dylan, orami bagnato dalle mie troppe  lacrime, non aiutava a calmarmi. Non meritavo il suo calore. Non meritavo il suo respiro sul mio collo. Non meritavo le sue labbra. Non mi meritavo lui.

ANGOLO SCRITTRICE:

1451 parole uau... RECOOORD! Va beh, oramai la scuola è finita e avrò più tempo e voglia di andare avanti con questa storia e finirla :) beeene ditemi come al solito cosa ne pensate. Scusate gli errori e buh... addio.
Con affetto...
La vostra Ila- Baptivi

Mille baci sotto il sole | Dylan O'Brien |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora