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Quando mi svegliai, il mio corpo sembrava pesante. Mi girai tra le coperte, anche se era estate non avrei cambiato le mie coperte pesante. Quell'anno il mio letto, dopo tante preghiere, era diventato da una piazza a due piazze. Alcuni pupazzi erano ai piedi del letto in disordine e alcuni cuscini erano caduti durante la notte. Le tende erano tirate, ma potevo scorgere che il sole non era ancora sorto, dopo qualche sforzo mi tirai leggermente su per vedere l'orologio rosso che era sistemato sul comodino. Lo odiavo quell'orologio, lo avevamo preso io e mia madre da un negozio dei cinesi perché era stufa di dovermi alzare ogni mattina dal letto e io ero stufa di sentirmi dire la solita frase: " quando metterai un po' di giudizio e diventerai matura? ", in più quell'aggeggio faceva una musichetta odiosa quando scoccava l'ora e io mi alzavo con quel suono orribile che mi ronzava nella testa.
4:30.
Non capivo perché mi ero sfegliata così presto, di solito mi bastava girarmi dall'altra parte e ritornavo a dormire come un ghiro, ma quella notte mi sentivo riposava, anche troppo. Avevo come l'impressione che la serata precedente fosse stata solo un sogno, invece sapevo che era realtà. Da una parte ne ero felice perchè Dylan era a casa mia, ma dall'altra avevo litigato con i miei migliori amici e questo non mi faceva affatto felice. Mi sentivo una stronza. Perché io ero fatta così, anche se sapevo che non era colpa mia, che io ero nella ragione, comunque io mi sentivo male per non aver evitato la litigata. Avevo un certo vuoto allo stomaco e continuavo a pensare a Aroon e a Clary. I due miei migliori amici mi stavano facendo sentire male. Cercai di evitare di pensarci e spostandomi nel letto riuscii a mettere i piedi caldi a contatto con il pavimento freddo, senza evitare ovviamente di gemere per il contatto.
Uscii dalla stanza cercando di non fare rumore, ma le mie ossa come sempre scricchiolavano. Avevo sempre pensato che questo fosse un problema fisico, perché non era normale scricchiolare ad ogni movimento, ma mia mamma mi rassicurava sempre dicendomi che succedeva perché stavo crescendo e che non mi dovevo preoccupare troppo e così lo presi come un fatto ordinario, accompagnando ogni mio scricchiolio con " Ahia." a volte per il dolore e a volte solo per abitudine.
Appena attraversai il corridoio vidi Dylan uscire dal bagno. Era vestito da capo a piede, mentre io indossavo solo una vestaglia leggera e semitrasparente. Sorrisi alla visione di quel ragazzo così coperto, che sapevo non essere di sua abitudine, poi mi portai un dito alla bocca dicendogli silenziosamente di fare piano. Un occhio strizzato mi arrivò come risposta.
Scesi le scale, sentendo che Dylan mi stava seguendo. Accesi la luce della cucina e, quando anche il ragazzo fu entrato, chiusi la porta.
- Ora possiamo parlare tranquillamente. - la camera dei miei genitori era in fondo al corridoio al piano di sopra, quindi sarebbe stato impossibile farci sentire se avessimo tenuto un volume di voce adeguato. Mi avvicinai al piano della cucina e dalla dispensa presi un barattolo di burro d'arachidi e una confezione di pane integrale tagliato a fette. Con un coltello iniziai a spalmare il burro sul pane, osservando Dylan che si sedeva sulla sedia davanti a me. Presi due bicchieri e il succo d'arancia e mi sedetti iniziando a mangiare, guardando il ragazzo che si preparava la sua fetta. Avevo particolare fame e non riuscivo a fare una conversazione, mentre lui era ancora un po' addormentato.
- Perché sei in piedi tu? - mi chiese con voce rauca, mentre mi preparavo una seconda fetta.
- Non riuscivo a dormire, i pensieri mi stanno uccidendo. -
- Hai paura che me ne vada? -
Sorrisi. - Per ora no. Abbiamo un'estate a disposizione... - evitò il mio sguardo e quello segnale mi fece aggrovigliare lo stomaco. Posai la fetta di pane e lo osservai. - Sputa il rospo. -
Sorrise e morsicò il pane. - Penso che se non troverò presto un lavoro, Marta mi farà ritornare a casa... -
No. Questo non poteva accadere. Non ora. - Beh, allora sappiamo cosa fare domani. -
- Vorrai dire oggi... - mi ricordò lui mentre ritiravo le cose al loro posto. Spensi la luce della cucina e ritornammo al piano di sopra. Dylan mi prese la mano e mi portò dentro camera sua, iniziando a baciarmi.
Sorrisi e mi fermai con tutte le mie forze. - Dovrei ritornare in camera...-
Annuì al buio. - Ma prima... - con un lento movimento delle braccia gli tolsi la maglietta e gli lasciai un unico bacio sul collo. - Perché te ne vai in giro tutto coperto? - gli sussurrai quella frase all'orecchio e lo sentii ridere. - Non è casa mia... - rispose lui, sempre a bassa voce, come se in quella stanza ci fossero persone che avrebbero potuto sentire la nostra conversazione.
- Ma è casa mia. - e con questa frase, gli lasciai un ultimo, leggero e umido bacio sulle labbra per poi uscire dalla stanza. Le mie gambe non volevano uscire da quella camera, volevano dare retta al cuore e restare con quel ragazzo, ma il cervello sapeva che se i miei ci avessero trovato abbracciati nello stesso letto, me lo avrebbero strappato, il cuore. Perciò evitai.
Rotornai nel mio letto freddo e abbracciai l'unica cosa a me concessa di abbracciare di notte, in quella casa: il cuscino.

***

- Cosa hai intenzione di cercare? - chiesi, appoggiando sul tavolo il vassoio con la colazione, il giornale del lavoro per Dylan, che quotidianamente veniva distribuito ogni mattina, e degli evidenziatori.
Dylan si portò la tazza di caffè alla bocca. Sorrisi e gli accarezzai i capelli scompigliati, sistemandoglieli.
- Punterei su uno manuale. - disse infine.
- Mmh... - iniziai a sfogliare il libretto, cercando un valido lavoro. - Ci sai fare con la cucina? - scherziai io e di risposta Dylan mi dedicò una curiosa occhiata.
Sorrisi e ritornai con gli occhi sulla rivista. - Cameriere? -
- No, mi fa pensare a Mitch! -
Oh. Beh certo, ti rifiuti di fare un lavoro solo perché ti ricorda uno stronzo. Ottimo inizio. Scossi la testa e continuai a sfogliare.
- Con la meccanica? -
- Si, potrebbe andare... Isaac e io sistemavamo i motori delle moto e delle macchine, quando era ancora con noi. - non era morto. Aveva semplicemente deciso di lavorare sulle navi da crociera e allora lo vedevano di rado.
- Perfetto, allora oggi andremo a chiedere a questo meccanico. - spostai il volantino, dopo aver segnato con l'evidenziatore verde il posto, e iniziai a mangiare la mia brioche.
La porta suonó e dopo un paio di secondi i gemelli entrarono nella stanza portando il loro buono umore.
- Buongiorno ragazzi. - li salutai.
Si sedettero vicino a noi e ci guardarono mangiare. La cosa era troppo inquietante per risultare normale, anche fatta da loro due.
- Cosa c'é? - chiesi.
- Volevamo chiedere che cosa fate oggi... - disse Ethan, guardando il suo gemello.
- Andiamo a chiedere per il lavoro di Dylan, perché? -
- Perché? Non possiamo passare un pomeriggio con la nostra migliore amica e il suo ragazzo? - rispose di rimando Aidan.
- Non sapete cosa fare, vero? - chiesi, mentre trattenevo un sorriso.
- Vero. - confessò Ethan.
- É estate e noi non sappiamo che fare... - concluse Aidan.
Sospirai e continuai a bere la mia aranciata.
- Bene, - disse Aidan. - Allora a più tardi. -
Quando se ne andarono guardai Dylan e il mio stomaco come al solito si agitò, minacciando di buttare fuori la colazione se non mi calmavo.
- In questa casa non avremo mai della privacy. - sorrise leggermente, poi mi guardò come se si fosse accorto in quel momento che io ero lì.
- Esatto, in questa casa. Che ne dici di fare un giro? Magari dietro casa... - risi e annuii.
Uscimmo di casa con la scusa di voler andare a correre, ma appena girato l' angolo Dylan mi prese da parte.
- Allora? Quale potrebbe essere un luogo dove possiamo stare da soli? - disse sulle mie labbra.
Ci pensai e poi mi ricordai. Quel luogo era tranquillo. Era nel parco dietro casa, lì vi era un albero grande con rami che scendevano verso terra, di conseguenza era difficile vederne il tronco. Lo raggiungemmo in un attimo mentre i discorsi variavano.
- La tua vita è movimentata... - disse, quando raggiungemmo il parco.
- No, è disordinata. I miei sono iper protettivi e i miei amici hanno praticamente la copia della chiave di casa mia... -
- Davvero? - chiese confuso.
- Era un esempio, per fortuna. - non che non mi piacesse la loro compagnia, anzi era la mia famiglia, ma i litigi erano molto diffusi tra di noi. Come evitarli? Eravamo tre maschi, per di più fratelli, e due femmine e tutti e cinque avevamo gusti e caratteri decisamente diversi.
- Eccolo la. - dissi indicando l'albero. A molta gente quel tipo di albero non piaceva, ma a me faceva impazzire.
Una strana sensazione mi prese lo stomaco. Avevo paura. Non sapevo il perché, ma iniziavo a stare male, mi girava la testa e la pancia iniziò a provocarmi tanto dolore. Spostando i rami sottili ci sedemmo. Dylan si sistemò vicino alle radici, appoggiando la schiena al tronco e io tra le sue gambe, appoggiando la schiena al suo torace. La sensazione di malore quasi sparì dopo un respiro profondo.
- Stai bene? - mi chiese, guardandomi dall'alto.
- Sì, perché? -
- Perché il tuo cuore non smette di agitarsi. - rispose e notai che la sua mano era appoggiata sul mio collo.
- Non lo so, sono nervosa... -
- Perché? -
- Non lo so. -
- Beh, io sono qui. - mi baciò la fronte e io non potei fare a meno di innervosirmi ancora di più.

ANGOLO SCRITTRICE:

Che cos'ha Abi? Voi lo sapete? Io no ahah. Lo so, sto affogando, non ho idee, ma spero che andando avanti mi vengano degli spunti.
Okay. Ditemi cosa ne pensate, per aiutarmi con le idee...
Bene. ( quante volte ho detto idee? )
Con affetto,
Baptivi

Mille baci sotto il sole | Dylan O'Brien |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora