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PRESENZA DI SCENE SENSIBILI.



PRESENZA DI SCENE SENSIBILI

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Marisol

La mia vita non era mai stata così burrascosa.
Da quando conoscevo mio suocero il mio mondo si era completamente scombussolato.

Credevo fermamente che sarei riuscita a gestire tutto.
In fondo non era poi così difficile fingermi felice.

Più che altro lo facevo per Liam.
Sapevo che il disonore era cosa importante per un uomo come mio marito.
In teoria, tutto faceva parte delle loro stupide regole.

Mi trovavo a far parte di un'organizzazione criminale, alla quale mio marito ne stava a capo.
Tutto pareggiava con il padre che, più spietato del figlio, nascondeva e custodiva un segreto che solo io e lui sapevamo.

E, per quanto potessi tirare la corda, sentivo che stava per spezzarsi.
Anche involontariamente, stavo per mettere in pericolo la vita di mio figlio.

Me lo sentivo.

Ringraziare mentalmente Scarlett per non aver parlato, non mi servì poi così tanto giacché la furia di Ivan mi si scagliò tutta addosso.

Intravidi un lungo barlume di umiliazione oltrepassargli il viso quando si stancò di sentire solo chiacchere inutili.

Perciò, dopo essersi congedato dalla villa di Aiden, decise di strattonarmi fino al suv nero parcheggiato oltre la strada.

Cominciai la giornata in modo sgradevole, da lì a poco avrei subìto chissà quali torture.

Di certo, Ivan pareva intenzionato a scavarmi pure l'anima se fosse stato necessario.

Tuttavia, decise di fermarsi al primo hotel che trovò lungo la strada e con enorme riluttanza mi fece scendere.

Lo seguii in silenzio.
Non mi piaceva dare troppo nell'occhio.
Essere umiliata dinanzi il personale dell'albergo non rientrava tra le mie voglie.

Tuttavia, insieme, raggiungemmo l'entrata dell'imponente struttura e subito un'ondata di aria fresca mi congelò le ossa.
Mi fermai a debita distanza dalla reception e mi posizionai vicino una grande pianta grassa dalle foglie verdi e abbastanza larghe da coprire il mio corpo scosso.

«Mi serve una stanza».

Nonostante fossi abbastanza lontana, riuscii lo stesso ad udire la voce roca di Ivan.
Il suo tono era carico di risentimento e rabbia.
La stessa rabbia che mi avrebbe rivoltato contro tra non molto.

Mi dondolai nevroticamente, specchiandomi sul pavimento in marmo che ad ogni movenza del mio corpo pareva luccicare.

In seguito, mi accorsi a malincuore che Ivan aveva già concluso, tenendo in mano la chiave della camera che presto si sarebbe trasformata in una gabbia.

Attendere oltre o rimuginare sulla cosa non serviva a niente poiché quell'uomo stava già segnando il mio destino.

Presi a camminare in avanti, osservando l'eleganza raffinata di quel posto.
I lunghi corridoi mi diedero la sensazione di soffocare, le pareti restringersi e il pavimento inghiottirmi.

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