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PARTE SEI

New York Marisol

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New York
Marisol

Un mese dopo.

Ero morta.

Non c'era altra spiegazione al riguardo.
Faticavo a tenere le palpebre aperte per più di due secondi.
Gli occhi mi si chiudevano contro la mia volontà.
Tuttavia, per il poco tempo avuto a disposizione, riuscii a vedere il soffitto bianco.

Nonostante il vuoto più totale incombeva prepotente la mia mente, il mio corpo combatteva per muoversi.

Ma non ci riuscivo.

Era questo che si provava dopo la morte?

O stavo semplicemente sognando?

«Marisol».

Non avevo bisogno di vedere per capire a chi appartenesse quella voce profonda.
Quindi Ivan era venuto a torturarmi anche in paradiso.

O magari mi trovavo all'inferno.

Meritavo di stare in un posto del genere per tutte le menzogne dette in fin di bene, solo per proteggere mio figlio?

Ma quale inferno era davvero peggiore da quello vissuto durante i miei ultimi anni di vita?

Velocemente, avvertii le dita della mano avvolgersi da qualcosa.
Tutto era troppo reale per credere che fossi finita in un posto di bizzarra fantasia.

Per quel motivo i miei occhi si aprirono di nuovo e numerose lacrime mi solcarono il viso che sentii immediatamente bruciare.
Il naso mi prudeva da morire e tutte le ossa del collo parevano distrutte.

In seguito, misi a fuoco la faccia di Ivan.
Mi guardava dall'alto.
I suoi occhi erano ridotti a due fessure, mentre le labbra erano di poco schiuse.

Volevo urlare, muovermi o correre lontano.
Ma io mi sentivo intrappolata dentro una statua di cemento.

«Stai calma».

Quando udii nuovamente la sua voce, i miei ricordi tornarono al mio piccolo Liam.
Peccato che non sapevo fare niente se non muovere le pupille da un lato all'altro.

In seguito, la visuale mi si presentò più limpida. Perciò, la postura di Ivan mi obbligò a starlo a sentire anche se non ne avevo assolutamente voglia.

Mi calmai per quanto mi fu possibile e mentre fissavo la parete frontale lo ascoltai.

«Mi fa piacere che ti sia svegliata». Marcò, toccandomi il braccio.

Il fatto che non potevo muovermi era un altro punto a suo favore.
Quel momento di gloria e piacere per lui era, invece, la mia sconfitta.

Non sapevo che intenzioni aveva.

Non sapevo cosa mi riservava il destino.

Di sicuro avrei tentato nuovamente il suicidio.

L'avrei fatto altre mille volte pur di non convivere più con lui.

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