Capitolo 38

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Mattheo's Pov
Accarezzai la collana che portavo al collo solo per calmarmi. Quando stringevo la metà della collana a forma di puzzle mi sentivo meglio. Era come riaverla qui vicino a me. Era come ridere e scherzare con lei. Come quando giocavamo a palla nel giardino, rientravamo in casa pieni di fango e nostra madre ci faceva una ramanzina lunga un'ora.

Ma non ci importava. La mamma rimproverava molto di più lei che me, essendo io il più piccolo. A lei però sembrava non importargliene, anzi, sfoggiava il sorriso più allegro del mondo. Dopo la ramanzina e il bagno la mamma mi lasciava in camera per uscire con papà. Mi ricordo di avere paura a rimanere solo al buio, ma Nova veniva da me e si sdraiava nel mio letto abbracciandomi e rassicurandomi.

Restava lì, fino a quando non mi addormentavo per poi sgattaiolare nella sua stanza prima che i nostri genitori tornassero. Si occupava di me come ogni sorella maggiore faceva, come i nostri genitori non hanno mai fatto, ma poi, un giorno ha smesso di occuparsi di me e ho dovuto farlo io da solo. E lì le cose sono precipitate.

È iniziato il fumo, l'alcool, le ragazze e la rabbia. Già a quattordici anni bevevo e fumavo cercando di placare la rabbia che provavo nei confronti di mio padre. Lui se n'era andato a Budapest cacciato a pedate da mia madre. Non aveva avuto nessun processo e nessuna accusa. Semplicemente il caso era stato archiviato per mancanza di prove, ma le prove c'erano eccome.

Ricordo ancora quando arrivai in quella stanza e vidi i suoi occhi vuoti. Ero terrorizzato da ciò che era successo. Avevo paura. Avevo solo otto anni quando è morta. E penso che quel trauma mi accompagnerà fino alla morte.

Mia madre ha completamente smesso di prendersi cura di me, mi ha assegnato ad Agatha. Ogni volta che mi facevo male giocando Agatha provava a curarmi le ferite, ma mia madre diceva che io ero abbastanza forte che il difettante non sarebbe servito.

Un'altra volta avevo dodici anni e avevo la febbre a quaranta. Mia madre aveva proibito a tutte le domestiche di darmi le medicine. Pensavo che sarei morto, ma Agatha si era intrufolata nella mia stanza di nascosto e mi aveva dato gli antidolorifici rischiando il posto.

Continua a succedere tutt'ora, quando sto male lei vieta a chiunque di darmi qualsiasi cosa per farmi guarire perché secondo lei io sono forte e c'è la faccio da solo.

Ma penso che lei voglia solo dimostrare il fatto che suo figlio è più forte della figlia che ha perso.

"Fanculo!" diedi un pugno al muro e non mi importò del dolore, ma solo della rabbia che provavo.

"Mattheo" sentii una voce familiare da dietro la porta.

"Vattene!" gli urlai in risposta guardando la mia mano che stava iniziando a sanguinare.

"No" esordii da dietro la porta.

"Vattene, Crystal!" non volevo che mi vedesse così, non volevo che i suoi occhi mi guardassero in modo diverso.

"No! Razza di idiota, ora apri questa porta o giuro che sto qui tutto il giorno a romperti le palle!" mi urlò in risposta.

Restai alcuni secondi in silenzio fino a scuotere la testa e andare verso la porta aprendola con un tonfo. La trovai lì, con lo sguardo arrabbiato e nelle mani due piattini con delle fette di torta.

"Finalmente" disse, ma subito dopo il suo sguardo ricadde sulla mano con cui ho colpito il muro, ma lei non disse nulla.

Passò sotto il mio braccio che era appoggiato allo stipite che le impediva l'entrata, "grazie per l'invito" disse entrando nella stanza.

Con uno sbuffo richiusi la porta a chiave per evitare che qualcun altro si intrufolasse nella mia stanza. Guardai Crystal sedersi sul mio letto e appoggiare i due piattini sul mio comodino per poi puntare il suo sguardo sulla pianta che era ancora lì.

NON TI SCORDARE DI MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora