Possesso

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No qui davvero è un po' troppo...troppo,
Saltatelo o leggete con un occhio solo.

Fino a poco prima che Sara tornasse da lui Dogas si era messo a studiare certi file che il generale Portew gli aveva lasciato, tattiche, armi, soldati, aveva aperto tutti i pannelli ma dopo poco, uno alla volta lo aveva chiuso con un gesto della mano. Aveva chiesto a Sid di abbassare le luci e si era buttato sul letto. Non dormiva quando Sara era entrata, aveva sentito il leggero fruscio delle sezioni di porta che si spostavano e aprivano. Poteva essere solo lei, aveva sperato che tornasse, eppure razionalmente voleva tenerla lontana. Aveva cercato di mantenere regolare il respiro, voleva che se ne andasse ma voleva anche che restasse. Quando aveva sentito le sue dita sfiorarlo ancora aveva fatto affidamento al suo autocontrollo, poi l'aveva sentita gemere piano e aveva capito che stava per fuggire di nuovo. L'aveva tirata verso di se con un'enfasi che credette sarebbe caduta a terra dall'altro lato.
L'aveva baciata ma questi giochi lo svilivano.
Era lì solo perché voleva mettersi al riparo dallo scherno delle amiche?
Non era disposto a essere usato così. Poi quella piccola peste lo aveva assalito, credeva di aver innalzato paletti e invece si ritrovó a stringerla forte per fermarla, per allontanarla, per impedirle di assaltare i suoi sensi. E lei se n'era accorta, ma era stata più brava di lui in quel gioco senza regole. Quando davvero lo aveva supplicato non pensava più a ciò che aveva promesso, non aveva capito che lei aveva appena fatto quello che lui le aveva chiesto. Lo aveva supplicato! Ma lo avrebbe fatto lo stesso se non c'era lo spauracchio della visita? Poi aveva cominciato a muoversi come una gatta su di lui e non ne potè più di resistere. Non importava più, avrebbe preso tutto ciò che avrebbe potuto e poi l'avrebbe salutata e lasciata in pace.
Ora era lì, arrendevole e piccola sotto di lui. La vestaglia di lei fu strappata perché troppo lenta a sciogliersi , le sfilò la canotta e guardò il seno di lei con meraviglia prima di chinare il viso a baciare l'incavo, poi si spostò su un seno, con una mano lo prese a coppa e con la lingua tracciava il contorno del capezzolo. Lei gemeva e si torceva sotto le sue attenzioni.
«Gas....  Gas...» continuava a chiamarlo con quel diminutivo che lo faceva impazzire.
Lei cercò il suo sguardo, lui sembrava ancora fuggirlo, lei si ritrasse sotto di lui tirandosi verso la spalliera si sfilò da sotto il suo peso.
«Gas! Guardami!» e lui la guardò, e si perse negli occhi d'ambra di lei. Lei si coprì il seno con le braccia. «Ho capito, ho capito perché...
...stai così!»
«Non mi importa niente della visita, non lo facciamo stasera, lo faremo poi. Quando vorrai, se...   ...mi vorrai ancora! Io voglio te, solo te.»
«Gas? Ho rovinato tutto? Non mi vuoi, magari non mi hai mai voluto....    ...Gas.... »
Sara si vergognó di se stessa, non aveva mai pensato che potesse non desiderarla. Scese dal letto e cercò la sua canotta. Lui aveva il respiro affannato e non riusciva a capire perché lei non fosse più stesa sotto di lui. Si alzò si caló i pantaloni e le chiese: «Ti sembra che io non ti voglia? Guardami! Sara devi guardarmi» lei lo fece e trasalì, «È...    ...quello...è....  ...grosso, io non credo sia possibile, io....    ...non è possibile!» balbettava lei. Aveva afferrato la sua canotta ma Dogas gliela tolse dalle mani, prima che potesse indossarla, irato. «Cosa vuoi fare ora? Non puoi tirarti indietro ora. Non puoi credere che io ora ti permetta di andartene senza aver fatto l'amore con me!» Sara lo guardò , ancora le mancava il respiro. «Gas, sono io che volevo ma...   ...davvero è.... grande» «Io ho paura» 
Dogas la spinse sul letto, le allargò le gambe e vi si infilò lasciando che le loro intimità si sfiorassero. Non le avrebbe più permesso di fuggire. Si muoveva su di lei senza penetrarla e lei cominciò a scuotere la testa da un lato all'altro. Le braccia di lei avvinghiate al collo.  Sara si contorceva sotto di lui e si muoveva spinta da un bisogno che non capiva. Si avvinghiò a lui  e andò incontro alla sua spinta, urlò, si fermó, «aspetta, aspetta» lo supplicò «Gas, ooh Gas» «Ok, ok, ci sono»
Lui affondó, e lei gridò,  lui cominciò a muoversi dentro di lei e lei tirava indietro la testa, non riusciva a respirare, il dolore era lacerante, ad ogni spinta lei gemeva il collo irrigidito, poi il dolore si spense e lei sentì quella pienezza più sua, cominciò a seguire e accompagnare i movimenti di lui, lui non riusciva ad interpretare le sensazioni che aveva, si rendeva vagamente conto che i suoi movimenti erano diventati più frenetici. Non riusciva più a pensare a lei, il bisogno era troppo forte, vedeva che soffriva ma qualcosa di quella sofferenza gliela rendeva più sua. Un istinto primordiale, la feroce passione degli antichi, una bestia tenuta in gabbia per troppo tempo esplose in lui. E tutto si placò! Rimasero fermi entrambi ancora confusi. Ora sapevano o cominciavano a capire.

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