Porte chiuse

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La casa era il bungalow che già conoscevano. Entrarono e ritrovarono l'ambiente familiare. Tutto era stato pulito e sistemato con cura. Rimasero senza guardarsi ne parlarsi per un bel po' . Sara appollaiata su una poltrona e Dogas appoggiato al ripiano della cucina con le gambe tese in avanti.  Sara si alzò e gli andò vicino ma solo per prendere un pacco di biscotti dalla credenza, Dogas per un breve istante credette che lei stesse andando da lui, che si sarebbero chiariti. Ricordò l'altro pacco di biscotti che fece volare al di là del letto.
Fece dei passi verso di lei «Sara..»
«Non voglio parlare con te.» lo sguardo di lei non ammetteva repliche, Dogas si passò una mano fra i capelli, cosa era successo? Un attimo prima sembravano appartenersi e ora che non avevano più ostacoli l'ostacolo erano loro stessi?
Dogas vide Sara dirigersi nell'altra camera, quando fece per chiudere la porta lui puntò un piede a bloccarla. «Cosa credi di fare?»
Sara guardò il piede e alzò lo sguardo molto lentamente: «Con queste porte puoi permetterti anche di impedirmi di stare da sola? È facile! Basta mettere un piede...» lo fissava intensamente, e Dogas ritrovò quel lampo nello sguardo che lo aveva tanto affascinato, Dogas abbassò la testa vicinissimo a quella di lei, lo sguardo famelico e irato insieme, le bocche vicinissime «Non chiuderai questa porta ne nessun'altra porta se ci sono io con te nella stessa casa.» Sara addrizzò la schiena e alzò il mento e disse: «Mi dai degli ordini adesso?» continuava a tenere la porta pronta a chiuderla. Dogas abbassò ulteriormente la testa e la baciò all'improvviso, lei rimase gelida, si sforzava di non mostrare il bisogno che aveva di lui. Poi decise di cambiare tattica, si alzò sulle punte e gli buttò le braccia al collo e ci mise tutto il suo impegno per sconvolgergli i sensi, arcuò la schiena e lui per adattare il suo corpo all'irruenza di lei tolse il piede dalla porta. Lei lo spinse veloce e chiuse la porta!
Senti in imprecazione è un grugnito di dolore, schiuse leggermente la porta e vide che Dogas si teneva il naso, letteralmente gli aveva chiuso la porta in faccia. Richiuse la porta e sussurrò la frase che le rimuginava in testa, quella che Dogas aveva detto sulla navetta e che le sembrava come una lama nel cuore «Non è detto!» con estrema sofferenza.
Dogas sentì, «Sara...» la chiamò, «Sara ti prego, parlami..» sentì un singhiozzo soffocato.
Passarono più di due settimane senza riuscire a proferire più che qualche monosillabo.
Condividevano i pasti senza neanche guardarsi, l'atmosfera era sempre più gelida e sembrava che ogni giorno si aggiungesse una fila di mattoni a quel muro invisibile che li teneva lontani. Dopo le prime tre o quattro sere Dogas aveva rinunciato alla lotta per la porta aperta. Oramai si era convinto che anche nella stessa camera o nello stesso letto Sara avrebbe mantenuto quel contegno gelido e non si sarebbe lasciata neanche abbracciare.
Quella sera Dogas l'aveva vista andare verso il mare con una veste bianca leggera con il simbolo blu dell'isola all'altezza della spalla, la seguì mantenendosi distante. La luna era particolarmente grande e luminosa, la pelle di lei brillava al riflesso, e quando cominciò ad immergersi Dogas vide la veste ondeggiare e galleggiare ai suoi fianchi. La guardò mentre scivolava sotto il pelo dell'acqua, e la vide riemergere a mento alto e pian piano uscire. Non riuscì più a ragionare, la raggiunse prima che uscisse dall'acqua e le si parò di fronte. Lei si spostò da un lato per oltrepassarlo e lui fece altrettanto. Dogas lasciò scorrere lo sguardo sulle forme morbide di lei, la veste impalpabile e bagnata aderiva ai seni e ai fianchi lasciando ben poco all'immaginazione. Il respiro accelerato di Dogas turbò Sara, non più tanto convinta di riuscire a rimanere fredda. Dogas abbassò lo sguardo e vide che non indossava gli slip.
Sara lo sentì emettere un verso rauco e avvicinarsi pericolosamente. «Stammi lontano!» gli sibilò ma non ottenne risultato. Tentò di nuovo di svicolare da un lato, ma lui fu più rapido e si ritrovò a sbattere contro il suo torace possente e le braccia di lui si serrarono intorno a lei togliendole il respiro.
Sara come un fiume in piena riversò dolore e amarezza tentando di allontanarlo ferendolo con parole piene di risentimento. «Perché? Perché non mi lasci andare? Cosa vuoi? Di nuovo togliermi ogni resistenza per poi accusarmi di essere troppo docile? Vuoi vedere quanto riesco a resisterti? Niente! Eccomi! Sono pronta! Ogni parte di me freme al tuo tocco. Ti basta muovere un dito e sono disponibile e calda. Eppure vuoi lasciarmi! Già stanco. Mi hai accusato di essere facile a concedermi, eppure sei solo tu, sempre e solo tu a farmi questo. E adesso cosa vuoi? Vuoi essere libero ma non mi lasci in pace? Lasciami! Lasciami andare maledetto..» lo stava tempestando di pugni tentando di liberarsi da quella stretta. Lui non riusciva a capire le fermò le mani portandole le braccia dietro la schiena e tenendogliele con una mano, con l'altra mano gli prese il mento e lo alzò costringendola a guardarlo «Tu e Atos» ringhiò lui «tu e il Tenente Dyver » urlò lui. «Non capisci quello che ho provato io? Pensandoti con loro? Ti avevo detto che eri mia! Solo mia!» Dogas mentre le gridava queste parole faceva scorrere le mani su tutto il corpo di Sara e lei non capiva e recriminò: «E perché ora non mi vuoi più? Perché vuoi tornare indietro? Chi altri se non tu? Che ne sarà di me e Gabriel se ci rifiuterai» Dogas che ancora stringeva, palpava e bramava le sue carni a sentire queste parole si bloccò e tornò a fissarla rabbioso in volto «IO? IO LASCIARTI? Cosa farnetichi? Tu hai detto che era troppo tardi!!! Rimpiangevi già la tua solitudine?»
Sara che respirava sempre più freneticamente singhiozzando e odiandosi per il desiderio che aveva di lui si bloccò a sua volta a sentire quelle parole. «Si! Si, è troppo tardi, ma tu hai detto che non lo è»  « Cosa ho detto io?» Dogas era confuso, cercava di ricordare le parole, «Sara! Tu eri triste all'idea di non poter tornare sulle tue decisioni!» Sara lo guardò scandalizzata all'idea che pensasse questo «NOOOOO!» gridò «Dicevo che era troppo tardi per te che cercavi una scusa per lasciarmi! E tu hai detto che "non è detto" » Dogas la guardò sorpreso, cominciò a vedere dissiparsi la fitta nebbia che avevano fatto innalzare su di loro le loro insicurezze e le loro incomprensioni.
Dogas la prese in braccio e si diresse verso il bungalow mentre lei era tornata a tempestarlo di pugni. «Lasciami! Mettimi giù»
Incurante delle sue proteste lui entrò e chiuse la porta con un calcio dietro di se. Si diresse nella sua camera dove aveva dormito da solo in queste settimane e la mise sul letto incurante del fatto che erano entrambi bagnati, la tenne ferma impedendole di fuggire e cominciò a baciarle il viso e a parlarle con voce roca «Hai detto....    Dimostramelo! Fammi vedere che sei disponibile e calda.... Sara! Smettila di picchiarmi. Dov'è quella donna di cui parli che mi si concede così docile. Sara...   ...ho bisogno di te! Non vedi quanto? Non mi senti? Senti Sara! Senti quanto ti voglio!» la veste di lei alzata sui fianchi, lui dentro di lei con ancora tutto sospeso fra di loro, tutto da chiarire ma lei di nuovo sua, arrendevole o meno che fosse, la possedeva con la brama che quella discordia e quella lontananza aveva creato. E lei suo malgrado si sciolse, si aprì, e prese quel piacere che le era così nemico quanto ambito, famelica quanto lui. E con quella brama che lo morse sul collo per evitare di gridare quando entrambi giunsero al culmine dell' amplesso.
Dogas alzò la testa a guardarla, le spostò una ciocca ancora bagnata di capelli. Poi con estrema calma le sfilò la veste bagnata, si alzò per togliersi i pantaloni bagnati anche egli, spostò da sotto le lenzuola inumidite e coprì lei  e se stesso con l'altro lenzuolo abbracciandola stretta a se teneramente.

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