L'isola

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La navetta si fermò. I sedili e i loro ospiti si spostarono verso l'esterno come fosse un nastro trasportatore, mantre dietro di loro veniva ad issarsi una nuova pedana con altri sedili e viaggiatori di ritorno.
Intorno a loro ora vi era una specie di bunker.
Una voce in stereofonia parlava:
«Benvenuti sull'isola, prima di accedervi dobbiamo chiedervi la gentilezza di un ultimo sacrificio necessario per la vostra buona permanenza. Ora indossate gli occhialini che trovate alla destra del vostro sedile. Passerete all'interno della camera disinfestante, e subito dopo dovrete entrare nelle cabine, spogliarvi ed eliminare gli abiti tramite l'apposita bocchetta aspirante, cadrà una sostanza disinfettante a pioggia e potrete indossare la divisa dell'isola. Non sono consentiti abiti straordinari.» la stessa voce diede il saluto a chi andava via dall'isola con un assurdo: «Tornate a trovarci, sarete i benvenuti.»
Come fosse facile tornare, pensò Sara.
Misero gli occhialini e tutta la loro pedana si spostò verso la camera disinfettante, durò un attimo e si poterono alzare. Sara e Gas si separarono per entrare nelle cabine. Quando uscirono dall'altro lato Sara gli corse incontro. Si guardarono e ammirarono con quella tunica morbida che lasciava le spalle scoperte, e i pantaloni che fasciavano fino ai ginocchi e da lì cadevano più morbidi. Presero i loro kit dal nastro e uscirono da quell'immensa struttura.
Sarà sentì subito il profumo di quell'aria, alzò il nasino ad annusare e fu colpita dal calore dei raggi solari. Il visetto meravigliato e lo sguardo a seguire uno splendido uccello che si librava sopra le loro teste.
«Oooh!»esclamò Sara e indicò con un dito. Dogas annuì e le sorrise.
«Cos'è questo cicalio?» chiese Sara
«Sono gli uccelli? Qui sono tenuti liberi e nidificano spontaneamente.»
«Waw!» e non parlò più, troppo impegnata ad osservare questo ambiente così nuovo per lei.
I dispositivi di comunicazione erano anche una specie di gps che poteva servire anche a ritrovarli in caso c'è ne fosse stata la necessità, erano stati indossati da entrambi e da lì arrivavano indicazioni per la loro permanenza, tipo il mezzo fornito con cui spostarsi a piacimento. Una moto, ovviamente non jet, ma ad energia solare, sull'isola non erano consentiti mezzi volanti come moto jet o navicelle.
Sulla moto c'erano pronti caschi e protezioni da indossare con le loro targhette identificative e sul manubrio uno schermo indicava la direzione da prendere per il loro bungalow.
Salirono su e subito si fiondarono fra le strade dell'isola. Dogas si rivelò un abile pilota anche per questa semplice moto, Sara si aggrappava a lui con una mano, mentre con l'altra gli indicava le varie bellezze-stranezze che incontravano lungo la strada. Quando costeggiarono un campo di lavanda, Dogas fermò la moto e la fece scendere.
«È uno dei miei sogni» le disse.
«Cosa?» chiese Sara
Gas le teneva una mano e la tirava verso i fiori profumati. Entrarono nel campo e Gas si sedette a terrà e la tirò giù sopra di lui.
Sara era a cavalcioni su di lui con il busto eretto, perplessa guardò verso la strada ma da dove erano non era visibile. Guardò lui sotto di se che la guardava sorridendo «No ma spiegamelo! Il tuo sogno è gettarti fra la lavanda» gli chiese.
«Il mio sogno è di essere posseduto da una splendida ragazza nella natura incontaminata dell'isola» rispose lui.
«Non è un po' scomodo lì sotto? Non vorrei trovarmi questi fiori profumati in determinate zone, non potevi aspettare di arrivare al bungalow?» chiese lei tenendolo sulle spine.
Lui per tutta risposta mosse il bacino e disse: «Datti da fare ragazza !» e si slacciò i pantaloni.
Sara scese a baciarlo, poi si tirò su il tempo per sfilare la maglietta e già era sulle sue labbra di nuovo. Lui le scese i pantaloni sui fianchi e tenendosela di lato le fece sfilare una gamba, con le dita le frugò fra gli slip, se la riaccomodò sopra e se la tirò per avere i suoi seni addosso, mosse di nuovo il bacino verso di lei a stuzzicarle la femminilità, e vide quel meraviglioso lampo negli occhi di quando si incendiava come paglia. Sara spostò gli slip di lato e lo guidò verso quel calore che rivendicava tizzoni ardenti. Fu inebriante e sempre nuovo, lei si muoveva sopra di lui arcuando la schiena e ondeggiando i fianchi e lui dovette sforzarsi parecchio per resistere all'esplosione che liberò quando la sentì gridare. E Sara gridò fra i fiori violacei tirandosi su e volgendo il viso al sole vagamente cosciente dell' ondeggiare degli steli lunghi e al grido di lei si unì il verso gutturale di lui che andò a spegnersi subito dopo. Sara si lasciò cadere al suo fianco a riprendere fiato e a guardare quei fiori che si curvavano a spiarli. «Invidiosi!» esclamò compiaciuta, al che Gas si alzò su un gomito e la osservò interrogativamente. E lei con la mano fece un gesto ad indicare quei gruppetti di fiori e disse: «Ora che ci hanno visto, ci invidiano» e volse il viso verso di lui. Restarono un po' a confabulare poi si alzarono, si assettarono i vestiti e tornarono alla moto, il bungalow li aspettava.

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