Incomprensioni

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Il viaggio verso l'isola, ricordava ad entrambi quello precedente. Ogni tanto sbirciavano dai vetri oscurati della navetta, ogni tanto gli occhi di uno si perdevano in quelli dell'altro. Dogas le teneva la mano e se la portava alle labbra o al cuore o sulla coscia senza mai lasciarla. Aveva ancora quella sensazione di cuore strappato di quando aveva temuto gliela portassero via, ancora più terrorizzato quando l'eccelso Fresod dopo averlo prelevato per un finto interrogatorio aveva insinuato che Sara avesse volontariamente scelto Atos perché obiettivamente più bello. Fresod che si era arrischiato da solo nella stanza aveva dovuto scappare di corsa per restare indenne dalla ferocia di Dogas che lo aveva dapprima guardato ferito poi dubbioso e infine con ira, quando, pensando a Sara, aveva infine decretato che lei mai gli avrebbe preferito l'altro, e capito che l'eccelso mentiva spudoratamente per difendere il nipote è il proprio posto fra gli eccelsi. Si voltò di nuovo a guardarla, era girata verso l'oblò, percorse il profilo con lo sguardo, le seriche ciglia, il naso sottile e sfrontato, la curvatura sopra il labbro superiore che enfatizzava la pienezza di quella bocca, la leggera rientranza sotto ad essa, il mento morbido e seguendo il profilo l'attaccatura della orecchie e la curvatura della nuca. Tirò la mano verso di se e Sara si trovò il suo membro fra le dita. Lo fissò sbalordita e si guardò attorno erano seduti in fondo. E la maggior parte dei viaggiatori sembrava sonnecchiare. Sara avvicinò il volto al suo e cercò le sue labbra. Non spostò la mano ma la tenne ferma in segno di possesso. Poi qualcuno si alzò e si ricomposero, Sara rossa in volto e Dogas corrucciato perché non riusciva più a tenere a bada i suoi impulsi. Quelle due ore e mezza furono una tortura. Dogas pensò vagamente alla lentezza di questi mezzi. Nei racconti dei più anziani vi era un vago ricordo di navicelle che facevano lo stesso tragitto in 10 minuti e forse anche meno. Ma finalmente le cupole si erano accordate per adottare ogni misura per tentare di salvare il salvabile del pianeta terra e quelle navicelle erano altamente  inquinanti, e, tranne qualche rara eccezione per eventuali emergenze, si era preferito soppiantare quei mezzi con queste navette ad autoricarica. Il movimento stesso generava la carica per il movimento successivo.  A detta degli esperti costruttori, si sarebbe potuto renderle più veloci ma ciò comportava una maggior usura dei componenti che richiedevano materie prime sempre più rare da reperire.
Queste navette correvano su binari sospesi agganciati lateralmente che rendevano tutto molto silenzioso e morbido, riducendo il tutto ad un impercettibile fruscio. Dogas si trastullava con questi pensieri per distogliere l'attenzione dalla creatura che in meno di un mese aveva stravolto ogni sua precedente convinzione, ogni ferma idea e ogni insegnamento regresso. Cercò di resistere al magnetismo dei suoi occhi che gli calamitava lo sguardo. In cuor suo voleva tempestarla di domande, sottoporla ad un interrogatorio che neanche gli eccelsi avrebbero mai potuto farle, frugare ogni angolo della sua mente per distogliere qualsiasi altro pensiero che non fosse lui. Pensarla in una stanza con Atos lo rendeva paranoico. Non avesse visto il video in cui lei si difendeva con un coccio di bottiglia, si sarebbe auto convinto che la giovane si potesse lasciar trasportare con uguale enfasi anche da altri. Di nuovo la guardò! E lei lo stava fissando con un sopracciglio alzato cercando di decifrare quel cipiglio. Lui le fece un sorriso sbilenco e interrogativo a sua volta. Lei fece il broncio e sprofondò sul suo sedile incrociando le braccia.
«Sei volubile mio signore!» disse a fior di labbra non guardandolo più.
«Perché lo dici?» replicò sorpreso.
«Un attimo prima attiri la mia attenzione, e quello dopo sei corrucciato come se ti sentissi incastrato.» rispose lei ancora con il broncio e sempre senza guardarlo, temeva che se lo avesse fatto avrebbe davvero scorto del rimpianto nei suoi occhi.
«Non è questo» cominciò cercando di capire se potesse essere sincero, «E che con la tua assenza mi è venuto da chiedermi se qualcun'altro desti così facilmente il tuo interesse.» quando il senso delle parole di Dogas arrivò a Sara lei si voltò di scatto a fissarlo a bocca aperta, dapprima per cercare un accenno di sorriso che indicasse una sorta di scherzo o un modo per stuzzicarla, poi con triste stupore misto a rabbia. Continuò a fissarlo ferita, con quelle parole le sembrò criticasse l'abbandono con cui si concedeva a lui. Si sentì messa in discussione, le sembrò tutto sbagliato, compresa la sua presenza sull'isola. «Anche fosse... Non si può più tornare indietro» disse con tono grave tornando a guardare fuori.
E mentre lei credeva di avergli detto un dato di fatto che lo obbligava al suo fianco, lui la lèsse come un sorta di pentimento da parte di lei.
Dogas staccò la schiena dal sedile con la voglia di prenderla per le spalle e scuoterla, la vena sul collo pulsava freneticamente, il respiro era pesante. «Non è detto» si sentì dire suo malgrado, guardandola e continuando a fissarla maligno mentre lei di scatto si voltò di nuovo verso lui stupita e ferita nell'animo. Fu annunciato l'arrivo a breve, e si prepararono all'iter d'ingresso, per la sanificazione è il cambio d'abiti. Ed erano di nuovo sull'isola, ripresero la moto. Sara si teneva a Gas la testa sulla sua schiena, lasciava che le lacrime che scorrevano sul volto fossero asciugate dall'aria fresca notturna che le sferzava le braccia saldamente avvinghiate al suo petto.

Quello che doveva essere un nuovo inizio, stava cominciando nei peggiori dei modi. Entrambi erano chiusi in se stessi, con la paura che l'altro fosse già distante, e che tutto fosse divenuto un terribile errore.

L'angelo di cristallo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora