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sarebbe meraviglioso, se tutti i criminali della città smettessero all'unanimità, solo per un paio di giorni, di minacciare la quiete generale, dal momento che attualmente, i due supereroi hanno ben altro in mente che salvare una vecchietta da un borseggiatore. ma se così fosse, new york non sarebbe new york ed han jisung non avrebbe niente di cui lamentarsi alle otto del mattino.

il dolce carburante per le sue lagne è stata l'aggressione di un gruppo di uomini ubriachi ed armati in un centro commerciale, ed il fatto che il magico sesto senso di lee know l'abbia bruscamente svegliato, nonostante avrebbe benissimo potuto occuparsi da solo della situazione. invece, è stato buttato giù dal suo divano dalle vigorose braccia dell'altro, e minho, dopo aver passato la notte in bianco senza tuttavia giungere ad uno straccio di piano, è quasi più nervoso di lui. 

"sto solo dicendo che forse, dovrebbero smetterla di vendere armi al primo che passa." mormora il castano, noncurante della folla che si è creata attorno a loro mentre scortano i corpi inermi e ammanettati dei cinque uomini precedentemente all'ingresso, verso le volanti della polizia parcheggiate lì davanti. minho si guarda intorno, i giornalisti li circondano, e nota lo stupore sui volti di tutti: lee know e hanster di nuovo insieme, a chiacchierare come amici di vecchia data mentre si battono spalla a spalla in nome della giustizia. tutti scalpitano, si spingono come sempre, ma stavolta, non ha una scelta sicura, non c'è felix con il suo sorriso rincuorante, tra loro, probabilmente salterà le interviste.
"insomma, questo tipo ha un tatuaggio estremamente razzista su quell'enorme braccio tutto muscoli, io non gli venderei neanche un pelapatate, figurati un fucile." continua a parlare il più basso, scuotendo la testa, ma dovrà rimandare la sua polemica circa la legalità della vendita di armi a più tardi.

han assottiglia lo sguardo, quando gli pare di riconoscere un viso familiare tra le persone che li accerchiano. un ragazzino, capelli scuri e leggermente arruffati, e le labbra strette mentre li fissa con insistenza, vagamente infastidito, sorreggendo una videocamera apparentemente molto pesante sulla spalla. è assolutamente certo di averlo già visto, ma proprio non ricorda né dove né quando, e prima che possa domandare a lee know se anche a lui il suo pare un volto conosciuto, alcuni giornalisti si fiondano verso di loro e gli puntano contro i microfoni, come fossero pistole.

le domande più gettonate, tra le tante, sono tre:
"avete cominciato a collaborare?"
"com'è lavorare insieme?"
"cosa sappiamo di hwang e del rapimento di lee felix? ci sono aggiornamenti?" e nessuno, assolutamente nessuno tra loro sembra minimamente interessato a quanto appena accaduto, fortunatamente non si registrano vittime: il centro dell'attenzione è la scomparsa di felix, com'è giusto che sia, ma è l'ultimo degli argomenti che minho vorrebbe affrontare in quel momento, specialmente se in diretta nazionale. perciò li ignora, proseguendo verso le automobili con il castano alle calcagna.
"non rispondiamo?" chiede, avvicinandosi curiosamente al volto dell'altro, corrucciato in una smorfia severe mentre evita gli sguardi di chi li accerchia, e scuote la testa, ancora ricurva e fissa verso i suoi stessi piedi.
"no, allontaniamoci." dice, risoluto, e l'altro obbedisce, senza questionare sulla sua decisione, trasformandosi in un aquilotto per seguirlo verso uno dei tetti della zona. gli schiamazzi dei giornalisti, diventano così un brusio di sottofondo, fin quando anch'essi non spariscono completamente.

lee know sospira, sedendosi a terra. jisung, tornato alla sua forma di umano, prende posto al suo fianco con riluttanza ed occhi vispi.
"che succede?" gli domanda, anche se pensa di aver compreso a pieno la situazione, e la risposta dell'eroe ne è solo una conferma.
"vorrei potergli dare risposte chiare. non voglio sappiano che non abbiamo ancora una pista, si agiterebbero, perderebbero fiducia in noi, voglio pensino che abbiamo la situazione sotto controllo." borbotta infatti l'altro, premendosi l'attaccatura del naso tra due dita, e sbuffa.
"il che rende l'idea del fare una pubblica dichiarazione per hwang, infattibile." aggiunge.

oltre ad essere umiliante, sarebbe motivo di sfiducia nei loro confronti da parte dei cittadini, e non possono permetterselo in tempi come quelli. il castano annuisce, non gli dispiace più di tanto che minho abbia scartato la sua idea.
"lo capisco. troveremo un modo." lo rincuora, e prima ancora che il più alto possa rilasciare l'ennesimo, pesante respiro, le urla di un ragazzo attirano l'attenzione di entrambi: 'aiuto, aiuto!' grida, e nonostante il sesto senso di lee know non accenni a palesarsi sotto forma di quel leggero tremolio, non ci pensa due volte prima di afferrare jisung per il braccio e trascinarlo verso quel vicolo dal quale proviene la richiesta d'aiuto, uno stretto tra due palazzi molto vicini al centro commerciale dove la folla di giornalisti è sparita.

"aiuto!" continua ad urlare. hanster indica così una figura accanto a due cassonetti, un tizio incappucciato con un enorme zaino in spalla, con le mani ai lati delle labbra spalancate mentre si sgola in cerca di assistenza, che riceve nel momento in cui i due si fiondano da lui.
"che succede? stai bene?" chiede l'eroe in rosso, preoccupato, mentre gli si avvicina e allora, l'altro solleva il volto e incrocia lo sguardo al suo.
"tu?" boccheggia han, confuso.

quel ragazzino, quel maledetto ragazzino che è certo di aver già conosciuto lo fissa, con le sopracciglia aggrottate e i denti stretti, decorati da un metallico apparecchio. sembra avere poco fiato, e lee know impiega una manciata di secondi a capire di chi si tratti.
"gesù, non lui." biascica, spazientito nel momento in cui si rende conto di cosa sta accadendo, e del perché il suo naso non abbia avvertito il solito prurito delle emergenze: non c'è nessuna emergenza, è una stupida, bambinesca e puerile trappola per attirarne l'attenzione.
"ma chi è?" jisung lo osserva, mentre il ragazzino continua a riservare ad entrambi il suo sguardo sprezzante, le mani sui fianchi.
"il ragazzino che sta sempre alle calcagna di felix, è il suo cameraman, e presumo non ci sia nessuna emergenza qui." spiega il moro.

jeongin scuote la testa, sibilando.
"operatore di ripresa." lo corregge, con il termine tecnico, e le sue pupille vagano esitanti da un supereroe all'altro, quasi a studiarli.
"e voglio aiutarvi." annuncia, serio come non mai, con la punta del naso rossa e reduce da un brusco raffreddore e notti insonni. se c'è una persona intenzionata a ritrovare lee felix tanto quanto lo sono loro, quella è sicuramente yang jeongin, e non accetterà un no come risposta.

anche se forse, un no sarebbe stato meno umiliante della risata in cui scoppiano entrambi, sguaiati come iene, e i toni acuti raggiunti da han gli fanno venir voglia di tapparsi le orecchie.
"divertente, ma non se ne parla." afferma minho con ovvietà, a malapena ha accettato l'aiuto di un mutaforma con poteri strabilianti, figuriamoci se ha intenzione di collaborare anche con un comune civile con briciole di biscotti sui pantaloni.

jisung, meno indisponente del suo collega ma ugualmente divertito e stupito dalla richiesta, non può non ammirare il suo coraggio.
"è dolce, ma abbiamo la situazione sotto controllo, non ci serve aiuto." mente, convinto che così, l'operatore si farà da parte, ma più sente, meno si smuove.
"non è vero." replica dunque, fermo sul posto.
"se la situazione fosse sotto controllo, l'avreste detto. anzi, l'avreste già salvato da quel pazzo."

il bruno indietreggia, raggiungendo l'altro ed imitando la sua rigida posizione, mentre gli occhi di entrambi non lasciano la figura dinanzi a loro. minho, infastidito dal suo tono borioso, incrocia le braccia al petto e la sua smorfia divertita svanisce dal suo volto.

"io posso aiutarvi."

𝐬𝐮𝐩𝐞𝐫𝐡𝐞𝐫𝐨 𝐫𝐮𝐬𝐡 • 𝐦𝐢𝐧𝐬𝐮𝐧𝐠Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora