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la mezza luna si staglia candida e solitaria in un cielo senza stelle, e la sua pallida luce, si riflette negli occhi neri di minho, una volta spalancate le palpebre nel suo risvegliarsi dal profondo sonno in cui è caduto, di una decina di minuti.

il vento ulula, l'aria è gelida, le sirene di ambulanze e forze dell'ordine fischiano ridondanti e sono tanto acute da portare l'eroe a mugugnare infastidito, mentre tenta di tirarsi a sedere. tira un sospiro, due o tre colpi di tosse lo percuotono, e prima ancora che possa dare voce ai suoi confusi pensieri, un paio di mani gli si attaccano saldamente alle spalle, scuotendolo.
"gesù cristo!" sente gridare.

jisung lo guarda, con fiato corto, in ginocchio al suo fianco su quello che solo ora comprende essere il tetto dell'albergo. sul tessuto rosso che gli ricopre le braccia, spiccano chiazze di quello che sembrerebbe essere sangue.
"ti sei svegliato, che spavento. ero terrorizzato." dice, per poi procedere ad accertarsi scrupolosamente che sul corpo dell'eroe non ci sia, a differenza del suo, neppure un graffio.
"allontanati." ordina lee know, con avversione, spingendolo poi via con la poca forza che è riuscito a recuperare.
"cos'è successo?" domanda poi.

il castano deglutisce, annuendo.
"sei svenuto, lui ha usato una specie di bomba con del gas narcotizzante, credo. ti ho portato qui sopra, io ho trattenuto il fiato." gli spiega sbrigativamente, osservando attentamente l'altro mentre tenta di alzarsi, intorpidito. in quel momento, i ricordi dei minuti precedenti riaffiorano, particolarmente nitidi.
l'incendio, il rapimento, tutto.
lee know si volta, lo scruta da capo a piedi, indugiando nuovamente sulle sue ferite, con uno sguardo apparentemente indecifrabile, poi torna a guardarlo dritto negli occhi.
"che cosa hai fatto." dice, e non sembra tanto una domanda, quanto piuttosto una constatazione rigonfia di rimorso.

e hanster, nell'ingenua presunzione di aver risvegliato nell'altro una sorta di apprensione, prova a tranquillizzarlo.
"questi?" sospira, come niente fosse, indicando con un cenno del capo le zone doloranti.
"colpa dei vetri della finestra. ma non bruciano, non più per lo meno-" l'altro raddrizza le spalle, con la testa china sui propri piedi, e fa cessare la sua parlantina con un gesto della mano.
"non parlo delle tue ferite. hai combinato un disastro." sibila, in fibrillazione, e l'altro indietreggia, stringendo di poco le labbra.

non ci sono scuse che tengano, non c'è battuta sarcastica o asso nella manica che in quel momento potrebbe scagionarlo dalle immani responsabilità della sua sconsideratezza. sbatte le ciglia, limitandosi ad annuire, di nuovo.
"mi dispiace, davvero." mormora, mortificato, e il moro si affaccia sulla strada, studiando la situazione. gli invitati si trovano ancora dinanzi l'elegante portone dell'ingresso, chi in piedi ad aspettare che qualcuno ne esca, chi seduto sulle barelle dell'ambulanza per controllare di non essersi rotto niente mentre fuggiva dalle fiamme. jeongin, sulla scalinata dell'ingresso, si stringe in una coperta azzurrina, datagli probabilmente dai paramedici, e il suo sguardo vuoto si sposta di persona in persona.

"è solo colpa tua. la sala ha preso fuoco, hwang ha rapito felix, e io avrei potuto evitarlo." afferma il più alto, atterrito. le braccia gli cadono pigramente lungo i fianchi, apparentemente pesi morti, ma chiude le mani in pugni serrati.
"avrei potuto evitarlo." ripete, inviperito.
"lo so, mi dispiace!" rantola jisung, giustificandosi con agitazione, e l'altro non sembra intenzionato a dargli dargli corda. non più, mai più, perciò non lo degna di una risposta, come non lo avesse sentito.

dopodiché, l'eroe in rosso gira su se stesso con le dita tra i capelli, e come impossessato dalle sue stesse preoccupazioni, prende meccanicamente a camminare da una parte all'altra del tetto, martoriandosi le labbra.
"e adesso che facciamo?" chiede, irrequieto, e cerca di calmarsi agitando le spalle, la sua natura angosciosa non deve assolutamente trapelare più di quanto abbia già fatto; è hanster, il supereroe sbarazzino e senza pensieri, non quel perdente di han jisung, un concentrato d'ansia e inquietudine. la domanda cattura l'attenzione di lee know, che schiocca aspramente la lingua sul palato.

"facciamo?" sottolinea, con un sopracciglio alzato ed un tono di voce decisamente meno tenue di quello usato finora. l'altro lo guarda, silente ed imbronciato, con le mani strette l'una nell'altra per tentare di frenarne il tremito, nascoste dietro la schiena, tesa come una corda di violino.
"io dico che hai già fatto abbastanza." aggiunge, duro. in quell'istante, quelle piacevoli chiacchiere scambiate sul terrazzo solo una ventina di minuti prima sembrano un lontano ricordo, e si ritrovano entrambi a domandarsi se sia effettivamente accaduto, se non l'abbiano sognato.

il castano si porta una mano al petto, e l'altra va a stringersi attorno al gomito dell'eroe davanti a sé, che non si scompone minimamente.
"ma io voglio rimediare, voglio aiutarti!" balbetta, in che modo potrebbe effettivamente rimediare, o essere d'aiuto, non lo sa neppure lui. ma ne ha bisogno, e se non gli permetterà di lavorare al suo fianco, nessuno gli impedirà di mettersi sulle tracce del famigerato criminale per conto suo.
"voglio salvare felix."

ma minho non può più tollerare la sua distruttiva inadeguatezza, i suoi fortuiti giorni di gloria sono ufficialmente finiti. per quanto lo riguarda, hanster non è mai esistito.

"se vuoi aiutarmi, stammi alla larga."



𝐬𝐮𝐩𝐞𝐫𝐡𝐞𝐫𝐨 𝐫𝐮𝐬𝐡 • 𝐦𝐢𝐧𝐬𝐮𝐧𝐠Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora