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a quanto pare, il concetto della necessità delle loro identità segrete di cui minho continua a ribadire l'importanza, a jisung pare più ostico dei polinomi ai tempi di quando studiava matematica al liceo. gli entra da un orecchio, ed esce dall'altro, non tanto perché non gli è chiaro.

trova semplicemente assurdo che tra loro debba esservi un simile muro, alto ed imponente, quando la loro collaborazione si basa fondamentalmente su un rapporto, stabile o meno che sia, di fiducia reciproca. l'opinione di lee know, tuttavia, non potrebbe essere più distante e contrastante dalla sua. vorrebbe sgridarlo, come un padre farebbe con il proprio figlio, ma non trova le parole adatte, non un suono sfugge alle sue labbra, sigillate.
"mi guardi come se avessi uno scarafaggio sul naso." ridacchia han, trattenendo poi uno sbadiglio mentre si sistema tra i morbidi cuscini del suo divano. in effetti, sul viso dell'eroe è dipinto uno stupore piuttosto evidente.

in quel momento, recupera il dono della parola.
"hai tolto la maschera!" lo accusa, come avesse appena commesso la più grave delle eresie, e il castano alza gli occhi al cielo, in effetti gli sembrava stranamente tranquillo.
"certo che l'ho tolta, è casa mia! tu porti la maschera in casa tua?" replica, con le mani sui fianchi e le sopracciglia aggrottate a sua volta, e gli sbuffa dritto in faccia. l'altro scuote la testa, il suo sguardo resta fisso su di lui.
"non significa niente, ci sono io qui!"
"appunto, sei nella mia stessa situazione! di chi altro potrei fidarmi, se non te?" borbotta di nuovo, con convinzione. il moro si mette le mani tra i capelli, tentando di mantenere la calma.
"lasciamo perdere, ormai è fatta." sussurra tra sé e sé, arrabbiarsi non ha molto senso, visto che ormai ha avuto modo di vedere il volto nascosto sotto la sua maschera, c'è poco da fare.

jisung sospira, incrociando le gambe.
"almeno adesso sai che sono bello, non ti fa sentire più tranquillo?" domanda, tentando di alleggerire la tensione tra loro, ma ottiene in cambio uno sguardo malfermo.
"perché dovrei essere più tranquillo?" chiede, assottigliando le palpebre, e l'altro scrolla le spalle, con aria indisturbata.
"perché le persone belle sono affidabili per natura, ovviamente." risponde, e nel suo tono è racchiusa una tale quantità di sicurezza da fargli quasi credere si tratti di un vecchio detto; non è così, nessun saggio ha mai proferito tali parole, fatta eccezione per lui, ma han jisung non può propriamente definirsi un filosofo.
"e sono anche modeste, immagino." bofonchia a bassa voce il maggiore dei due. non osa contestare il fatto che sia bello, tuttavia, anche perché sa che mentirebbe a se stesso.

l'altro si libera in una piccola risata, annuendo vivacemente alla sua risposta.
"continuerai a trattarmi così per sempre? guarda che lo so che ti piaccio." sbatte le ciglia, canticchiando l'ultima frase con voce stridula e vagamente fastidiosa, che il corvino ignora, alzando gli occhi al cielo alla ricerca di quella santa pazienza di cui tanto si sente. magari hanster, prima di sferrare un colpo, dovrebbe prepararsi cautamente al contrattacco.
"se pensarla così ti aiuta a dormire la notte, allora sì, han jisung, mi piaci." parlotta a denti stretti, ma la presa in giro non sortisce gli effetti desiderati, perlomeno non come avrebbe voluto.

perché certo, è riuscito a zittirlo e scacciare quel mezzo ghigno irriverente dal suo viso, ma il silenzio calato è piuttosto imbarazzante. e gli piacerebbe sapere quante volte ancora dovranno sorbirsi quella spiacevole e sgradita quiete, prima di capirne la causa. jisung, al sentirgli pronunciare per intero il suo nome di battesimo, non può non sentire le guance scaldarsi. è inusuale, è strano, ma è particolarmente soave, tanto quanto lo è il semplice fatto che se lo sia ricordato.

minho abbassa lo sguardo.
"il piano." mugugna, ricordando ad entrambi la vera ragione di quella riunioncina improvvisata, ed han raddrizza la schiena, tossicchiando.
"certo, sì, il piano." sussulta, e torna a guardarlo, con i palmi dritti sulle proprie cosce.
"come lo convinciamo?" è la fatidica domanda, alla quale lee know non è ancora giunto ad una risposta, ma si massaggia il mento come se questo potesse in qualche modo velocizzare il suo processo creativo. nel frattempo, il castano formula la sua proposta, ovvero la prima idea che gli è venuta in mente al riguardo.
"e se ci infilassimo in qualche zona rossa per farci sentire di proposito? così capirebbe che non abbiamo idea di dove sia. dopotutto, trovarlo è nel nostro interesse quanto nel suo." suggerisce, portandosi le ginocchia al petto.

minho allora gli fa una piccola smorfia, non è male, ma serve di di meglio.
"non gli darò questa soddisfazione." afferma allora, imitando la posizione dell'altro, e si ritrovano l'uno di fronte all'altro sul sofà. jisung prende a sbuffare, assonnato.
"e come pensi di fare?" sbadiglia.
"non lo so, devo rifletterci sopra."

il più basso annuisce, stendendosi di poco, mentre un secondo sbadiglio lo percuote, e sente le palpebre farsi sempre più pesanti. nel giro di una decina di minuti, l'altro supereroe si ritrova a lavorare da solo ad un piano, mentre il lieve russare dell'altro gli fa da sottofondo.

e quando si sveglierà, il mattino seguente, gli farà credere di essersi messo quella piccola coperta arancione da solo.

𝐬𝐮𝐩𝐞𝐫𝐡𝐞𝐫𝐨 𝐫𝐮𝐬𝐡 • 𝐦𝐢𝐧𝐬𝐮𝐧𝐠Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora