Amber

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Ho sempre amato gli aeroporti

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Ho sempre amato gli aeroporti. Sono come una zona franca, senza patria, un confine tra i confini. Qui anche quelle come me trovano una collocazione.

Le persone non lo sanno. Non sanno che qui, in mezzo ai gate, possono essere ciò che vogliono, perché tanto nessuno se ne interessa. Mi siedo sopra il trolley, sbirciando intorno a me. Una ragazza corre verso il gate 17. Passando mi lancia un'occhiata, dura una frazione di secondo, ma mi fa venire voglia di spostarmi. Non voglio essere vista. Da nessuno.

Mi avvicino agli scaffali del book sharing, fingendo una curiosità che non provo veramente. Una coppia di anziani mi sfiora leggermente la spalla. Lui mi strizza l'occhio, mentre lei osserva truce i miei capelli viola. Pazienza vecchietta, non devo piacerti per forza. Due ragazze, modelle, stanno attraversando lo spazio facendosi largo tra la gente, con i loro trolley e la consapevolezza di essere osservate da tutti. Una di loro è come me. Ci riconosciamo a pelle, noi che viviamo senza pelle: lo sguardo sfuggente, le spalle che portano su sé il peso del mondo, il passo svelto e nervoso, gli arti sottili... troppo sottili. Con la mano sfioro inconsapevolmente il tatuaggio sulla mia spalla. Until I see you again, sister. Lyse è nei miei pensieri, come sempre. Del resto se non fosse per lei, per la mia promessa, non sarei qui. Sospiro.

La vibrazione del telefono mi riscuote. Mia madre (sì, sto bene... sì vengo a trovarti prima di tornare a casa... sì anche tu mi manchi... incredibile come sia facile mentire per una come me). Metto il telefono nello zaino e guardo l'ora. Manca ancora mezz'ora al mio volo. Un uomo si avvicina. L'alito puzza di aglio e sigaretta mentre mi chiede se aspetto qualcuno.

"Un aereo, come tutti, immagino", rispondo fredda, scostandomi.

Non si arrende. "Posso farti compagnia, se vuoi". L'odore di sudore avvolge ogni cosa, mi sforzo di non essere sempre la solita, forse vuole essere solo gentile, ma non riesco. Vorrei solo sparire. Odio, odio, ODIO la sensazione che provo adesso: come se qualcuno stesse per far scattare la trappola della gabbia e chiudermi senza possibilità di uscita. Lo guardo gelida, riversando nello sguardo tutto il mio disprezzo, poi me ne vado. Non importa dove, lontano. La voce di Lyse si affaccia nei miei ricordi. Prima o poi dovrai far pace con il genere umano, Amber.

Non oggi.

La voce femminile all'altoparlante annuncia l'imbarco del volo per Londra. Mi avvio al gate 23, trascinando il trolley con più fretta di quanta non abbia in realtà. Una parte di me si spegne, come accade sempre quando sono in mezzo a troppe persone. Mi riprendo quando sono seduta al mio posto, accanto al finestrino. Mi piace stare lì. Quando sei in volo e vedi solo nuvole, ti sembra che la vita non sia poi un totale disastro.

L'uomo dell'aeroporto compare all'improvviso, toccandomi la spalla. Mi giro e non posso credere alla mia sfiga. Se si siede qui passo tutto il volo in bagno.

"Mi scusi", un'altra voce si intrufola, staccando la mia attenzione dall'uomo trappola. "Questo sarebbe il mio posto". Il tipo all'aglio se ne va, lasciandomi respirare, almeno qualche secondo.

Il nuovo arrivato si siede, lanciandomi un sorriso e uno sguardo d'intesa. Mi rannicchio sul sedile in modo da non offrire nessuna superficie disponibile al contatto. Tuttavia, lui non è sgradevole come l'altro. Profuma di erba appena tagliata e pioggia, sa di tranquillità. I capelli sono chiarissimi, quasi albini, gli occhi azzurro cielo. Nel complesso potrebbe essere giudicato attraente. In mano tiene una borsa da ufficio. Esaudendo senza saperlo il mio desiderio si immerge nel lavoro, lasciandomi in pace.

Un attimo prima che l'aereo chiuda il portello, si alza e se ne va, sussurrando qualcosa alla hostess e consegnandole qualcosa in mano. Poi esce dall'aereo. Il portello si chiude e inizia la dimostrazione di sicurezza. La gente a volte è strana.

***

L'uomo dal maglione grigio aveva aspettato il suo momento con molta calma e pazienza. Sapeva che la ragazza era poco avvicinabile. Non voleva perdere l'occasione che era riuscito a creare. Non adesso. Non dopo aver aspettato così tanto che il momento arrivasse. Più di 300 anni, per la verità. Sorrise della sua ironia.

Era appena sceso dall'aereo, dopo essersi assicurato di aver attirato l'attenzione del suo obiettivo. La hostess avrebbe fatto il resto. Dopotutto aveva lasciato una mancia più che generosa per accertarsi che eseguisse l'incarico.

Tolse il piccolo taccuino nero dalla tasca della giacca e lo aprì. Era pieno di appunti scritti a mano, molto fitti. Assorto nella lettura, l'uomo girò la pagina: attaccata al foglio c'era la foto di una ragazza dai capelli viola, lisci e lunghi fino a metà schiena. Gli occhi molto chiari e i lineamenti delicati, piccola di corporatura. La foto era stata scattata da lontano e sotto ad essa c'era scritto a mano un nome:

Amber Phillips.

The Perfect DystopiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora