Sylvain

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Cazzo! Non mi ero reso conto dell'ora! Per fortuna l'ascensore del mio vecchio palazzo fa un rumore infernale

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Cazzo! Non mi ero reso conto dell'ora! Per fortuna l'ascensore del mio vecchio palazzo fa un rumore infernale. Di sera è una specie di timer automatico, che segna l'orario d'ingresso dei vari inquilini di ritorno dalle loro attività quotidiane. Guardo l'orologio di sfuggita, ma già so che segna le 7.18 di sera. La mia vicina sta tornando dal lavoro. La metro arriva alla fermata qui vicino alle 7.14 e lei ci mette 4 minuti esatti per arrivare a casa. C'è stato un periodo in cui avevo una cotta per lei. Alta, magra, sempre elegante. Solo una volta avevamo scambiato due chiacchiere, quando ancora andavo in palestra. Ovviamente mi ero iscritto per poter vedere lei. Dopo quella chiacchierata avevo smesso di andare in palestra e di pensare a lei. Se il fisico è attraente e la mente no, di strada se ne fa poca.

Non che abbia una fila di donne tra cui scegliere. E in ogni caso non è il momento di pensarci. Ho due minuti per inviare il file a cui ho lavorato tutto il pomeriggio. Non ho mai consegnato un lavoro in ritardo, nemmeno un preventivo, come in questo caso. L'azienda che mi ha contattato era una delle mie vittime preferite quando ero hacker. Una bella soddisfazione essere io a togliergli le castagne dal fuoco, adesso.

Ecco fatto. File inviato. Mi guardo attorno, coi riflessi un po'rallentati. Il fumo sta cominciando a fare effetto. Per fortuna. Lavorare al computer tutto il giorno mi mette in corpo troppa adrenalina. È la mia vita, il mio mondo. Con i rapporti sociali non sono una cima, ma con una tastiera in mano non mi batte nessuno. È come una droga per me... così che quello che fumo non è altro che l'antidoto. Il male minore. Stasera però ho bisogno di una pausa. Chiudo il portatile e vado a fare una passeggiata.

Mi siedo su una delle panchine del parco, con il fiume Yarra che scorre placido. Tempo un paio di minuti, e un uomo si siede accanto a me. Normalmente mi alzerei per andar via, non ho voglia di chiacchiere. La gente si siede sulle panchine e crede che tu abbia voglia di far conversazione con loro. Parlano della loro vita, della famiglia, del lavoro, si aspettano che tu offra loro comprensione, quando la verità è che a nessuno gliene frega niente. Tuttavia non ho voglia di alzarmi, così prendo il cellulare e mi metto a giocare, in modo da scoraggiare qualsiasi interazione da parte sua.

"Fantastico! Anche io ho questo videogioco! Sono a livello 185..."

185? Io ci gioco da un anno e sono solo al 123! Alzo lo sguardo e vedo un uomo dall'aspetto nordico, capelli color platino, occhi azzurro chiaro e pelle bianchissima. Indossa un maglione grigio e un paio di jeans sbiaditi. Non ha l'aria di uno che si intende di videogiochi. Lui sembra leggere la perplessità sul mio volto.

"Sono stato uno dei primi a installare il gioco quando è uscito, poi sono diventato un beta tester, ogni volta che c'è una versione nuova, un aggiornamento..."

"So cos'è un beta tester!", rispondo piccato.

Guardo l'uomo di fronte a me con rinnovato rispetto. Aspetto che dica altro, di solito le persone fanno così, ma lui mi guarda e basta. Torno al mio videogioco. Sono fermo da settimane nello stesso punto. Mi manca pochissimo per superare il livello, ma rimango sempre bloccato: c'è qualcosa che non riesco a vedere, forse, sta di fatto che è diventata routine quotidiana mettermi a provare. Prima o poi troverò la chiave, succede sempre così.

"Per superare il livello devi pensare in modo laterale", mi dice. Il pensiero laterale era stato argomento della mia tesi di laurea. Sono sempre più stizzito: sto per manifestare il mio disappunto, ma quella frase ha sbloccato qualcosa nella mia testa. La sensazione è la stessa di quando, tanto tempo fa, riuscivo a decriptare una password. In effetti avevo sempre affrontato quel livello nel modo sbagliato! Tento una strada nuova, quasi scocciato di dovere il mio successo (perché sono certo ormai di riuscire a passare il livello)a un'altra persona. Trattengo il respiro mentre sullo schermo del telefono compare la parola "vittoria" e mi ritrovo dentro il successivo livello, il 124.

"Incredibile!"

Probabilmente adesso il tipo si aspetta un grazie. Cavolo, ho voglia di un po' di fumo. Alzo lo sguardo, ma lui è andato via. Vicino a me, sulla panchina, una piccola scatola. E adesso come faccio a ridargliela? Potrei lasciarla lì, magari torna a riprendersela.

Non riesco a resistere alla curiosità e la apro, giusto per vedere cosa contiene. Al suo interno c'è una chiavetta USB e un nome.

Il mio.

***

"Ecco il suo caffè"

La cameriera si era avvicinata silenziosa, o forse lui era troppo assorto. In ogni caso l'uomo dal maglione grigio sobbalzò leggermente. Sorrise appena in segno di ringraziamento e bevve un sorso dal bicchiere di caffè caldo che gli era stato appena portato. Fece una smorfia di disgusto. La bevanda (ci voleva molta fantasia per chiamarlo caffè) aveva una sorta di retrogusto rancido. Del resto, tutto in quel posto sapeva di vecchio e abbandonato. I sedili imbottiti erano rotti in diversi punti, il bancone era sporco e a tratti arrugginito, e le tende ingiallite non venivano lavate probabilmente dai tempi di Pearl Harbor. Non che il quartiere in cui si trovava fosse meglio. E tuttavia, si consolò, era stato in posti ben peggiori.

Abbassò di nuovo lo sguardo sul suo taccuino nero. C'era una lista di nomi, due dei quali erano stati cancellati. La sua attenzione era tutta concentrata sul terzo nome dell'elenco. Scosse la testa per l'ennesima volta, preoccupato. Guai. Solo guai. Ecco cosa ci si poteva aspettare da uno così. Eppure anche lui era fondamentale per il suo piano. Doveva solo dargli un motivo per restare... e forse, allora...

Consegnare il dono anche a lui era stato complicato, dal momento che non usciva mai dal suo appartamento, e quando lo faceva non poteva certo essere considerato un fan del contatto umano. Aveva dovuto installare sistemi di sorveglianza speciali, che in quell'epoca ancora non erano stati concepiti, ma aveva funzionato. L'idea del videogioco era stata geniale. Scosse di nuovo la testa. Potenziale sprecato. Ecco cos'era quel ragazzo.

La fotografia nel suo taccuino raffigurava un giovane uomo dai capelli lunghi, castani, occhiali e barba non curata. Orecchini e vestiti casual. Sospirando, fece una crocetta accanto al nome.

Sylvain Williams.

The Perfect DystopiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora