Onestamente, ho vissuto in case peggiori. Quando facevo l'hacker ed ero ricercato praticamente ovunque, mi sono nascosto in posti così squallidi da non poter essere nemmeno definiti "luoghi". Erano incubi trascinati nella realtà.
Un tavolo, due sedie, due letti? Una reggia.
Mi sarei aspettato di vedere disagio negli occhi di Luke, ma forse non sono più così sorpreso. Ha dimostrato di essere qualcosa più di un prete. Tuttavia, preferisco mettere subito le cose in chiaro.
"Non sono credente", gli dico.
Lui sorride, alzando le mani. "Non sarei comunque in grado di dirti nulla, in una situazione come questa."
Mi siedo sul letto vicino alla porta, quello che ho già deciso debba essere mio. Se voglio uscire di notte non voglio dover scavalcare nessuno. La mia curiosità, tuttavia, ha la meglio sul mio desiderio di solitudine. Quest'uomo è un enigma. E io sono nato per risolvere enigmi.
"Cosa c'è di speciale in te?", domando, senza mezzi termini.
"Sylvain, dovresti smetterla di fissare la gente. E quelle domande poi... eppure ti ho insegnato ad essere delicato, no?"
Mia mamma. L'unica persona che io abbia mai rimpianto. L'unica che non si era mai spaventata dalla diagnosi che l'Istituto, per correttezza, mostrava ai probabili genitori.
"Il ragazzo rientra nello spettro autistico, è affetto da quella che viene chiamata Sindrome di Asperger."
Che modo assurdo di dirlo. Come se io fossi quello. Come se fossi solo quello.
Uno dopo l'altro, i contendenti al ruolo di papà o mamma trasformavano il sorriso in uno sguardo preoccupato. Si alzavano, imbarazzati, e se ne andavano.
Lei no.
Era rimasta a fissarmi, con gli occhi grandi, verdi come erba del sottobosco, e il sorriso inamovibile. I capelli ricci, neri come il carbone, le scivolavano di fronte agli occhi, e lei, puntualmente, li spostava. Senza smettere di guardarmi, o di sorridere.
"Io mi chiamo Tiffany Williams."
Mi aveva teso la mano, sicura che l'avrei presa. Anche se la rettrice le aveva detto che non amavo il contatto fisico. E io l'avevo afferrata... per non lasciarla più.
"Immagino la stessa cosa che c'è in ognuno di noi", risponde Luke, senza scomporsi troppo.
"Non intendevo in quel senso", specifico.
Lui prende una sedia e si siede di fronte a me. "D'accordo. Che ne dici di presentarci come si deve?"
Mi tende la mano, sicuro che io la prenda.
"Io mi chiamo Luke Hernandez."
E io l'afferro. "Sylvain Williams."
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The Perfect Dystopia
Science FictionLa perfezione è una bugia. E come tutte le bugie, prima o poi deve crollare. Elias lo sa, ma non può farcela da solo. Ecco perché sta cercando loro: Un ex hacker con problemi di dipendenza. Una danzatrice acrobatica dalla vita complicata. Un prete c...