Nicole
Se la tipina bionda, qui, non smette di sospirare la soffoco. C'è già abbastanza pesantezza anche senza di lei. Almeno l'amica, la rossa, era interessante. Coraggiosa. Incosciente.
Chissà che fine hanno fatto quelle due.
I veicoli si stanno fermando. Me ne accorgo perché, proprio come la prima volta che siamo saliti, al rallentamento si abbina una sorta di rumore di fondo, un ronzio fastidioso.
Molly mi fa segno di scendere. "Benvenuti a SubChicago", e nella sua voce il sarcasmo è così evidente che quasi stride dentro.
Alzo lo sguardo, e quello che vedo mi lascia senza parole.
Davanti a me, edifici fatiscenti e rovine si contendono lo spazio con strutture improvvisate degne delle zone più povere di Johannesburg, la mia città. Grattacieli semi distrutti stanno in piedi per chissà quale legge della fisica, mentre le strade sono un'accozzaglia disordinata di asfalto screpolato, vegetazione invadente, detriti e spazzatura.
Un rumore alle nostre spalle attira la mia attenzione. Una struttura di ferro, una specie di muraglia futuristica, si chiude, isolandoci dal resto del mondo. Scambio uno sguardo con Claire, che sembra sconvolta, mentre Luke e Sylvain girano su se stessi, come per vedere tutto fino in fondo.
Il cielo è grigio, malato, basso. Mi sembra di soffocare. Le vie, un tempo probabilmente molto ampie, sono adesso un labirinto di vicoli e baracche, bancarelle e relitti di vecchi veicoli. In lontananza, il profilo di una struttura circolare molto grande reclama il suo posto... non ho il coraggio di chiedere cosa siano quei grovigli di cavi e antenne.
L'aria è densa di odori. Invadono il campo, portando fumo, legna, cibo in cottura, decadimento e solitudine. Il rumore è onnipresente e fastidioso. Voci umane, clangore di metalli, ronzii. Un bambino esce da una delle baracche più vicine. Indossa un vestito formato da ritagli di stoffa rattoppati, pieni di colori. Contrastano con il color polvere del deserto che sembra regnare su tutto. Una donna esce dalla stessa baracca, manda il figlio dentro poi, come se obbedisse a un cenno di qualcuno, si avvicina alla bionda... accidenti, com'è che si chiamava? Julia, Jilly, Julie?... e, avvolgendola con un braccio, la porta dentro la sua dimora.
"Venite, dobbiamo parlare", dice Elias.
Lo seguiamo, imbambolati, incapaci di fare o dire qualsiasi cosa.
Abbiamo forse scelta?
Entriamo dentro al rudere di un vecchio grattacielo, mentre Elias e gli altri ci fanno strada fino a una stanza larga, con vecchi mobili. Alcuni sono perfettamente riconoscibili: un vecchio sofà, una madia, una branda. Altri hanno forme che non aiutano a chiarire la loro funzione. Una ragazza giovanissima entra dopo di noi, portando una serie di cuscini. Hanno la stessa foggia degli abiti del bambino: pezzi di stoffa cuciti insieme, di colori diversi. Una specie di patchwork futuristico.
Mette i cuscini per terra, a cerchio, poi si siede su uno di essi, in attesa. Mi sorride, per poi abbassare, timida, gli occhi.
"Grazie Kate", le dice Molly. Con lei la sua voce si ammorbidisce. Poi torna a rivolgere l'attenzione su di noi.
"Accomodatevi."
Guardo gli altri. Luke è il primo a sedersi, seguito da tutti gli altri. Io e Claire ci sediamo per ultime. Sta cosa del cerchio mi sembra proprio una stronzata.
"Dove avete portato Julie?", chiede Luke. Ecco come si chiamava!
"Julie è sotto shock. Ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lei, non di sentire altre cose che potrebbero destabilizzarla."
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The Perfect Dystopia
Science FictionLa perfezione è una bugia. E come tutte le bugie, prima o poi deve crollare. Elias lo sa, ma non può farcela da solo. Ecco perché sta cercando loro: Un ex hacker con problemi di dipendenza. Una danzatrice acrobatica dalla vita complicata. Un prete c...