17. Adam

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«Il mio culo ti chiederà i danni dopo questa cosa»

Eravamo su quella specie di bicicletta, io alla guida e lei seduta sul portapacchi intenta a non poggiare i piedi per terra, era circa la quindicesima volta in un minuto che si lamentava e per ognuna di queste avevo volontariamente preso una buca o un dosso per darle l'ennesimo motivo di piagnucolare.

Mi piaceva terribilmente sentire il mio nome urlato a mo' di rimprovero e il fatto che subito dopo si attaccasse a me per paura di finire col culo per terra.

«Sarò ben felice di occuparmene»

«Adam» era esattamente quello che intendevo.

«Siamo quasi arrivati, reggiti forte» accelerai sfrecciando tra le macchine parcheggiate, tra un gridolino e una supplica di rallentare, poco dopo come promesso arrivammo in un piazzale alberato al centro del quale vi era un piccolo food truck che faceva i panini migliori di Carmel.

«La prossima volta io guido e tu mi corri dietro» mi canzonò imbronciata mentre si massaggiava il sedere dolorante, dovevo ammettere che a occhio quel portapacchi sembrava tutto meno che comodo.

«Ti consolerai con un bel panino con la porchetta» aspettai che finisse di lamentarsi un altro po' e insieme ci dirigemmo verso il furgoncino di Cesare, un uomo di sessant'anni che di punto in bianco aveva lasciato l'Italia per venire a vivere a Carmel dopo aver sposato una donna del posto conosciuta in vacanza.

E dovevo ringraziarla perché potevamo godere dei panini più buoni di sempre, forse una delle poche cose che mi sarebbe mancata una volta tornato a San Francisco.

«Ciao Cesare» lo salutò parlando in italiano.

«Ciao mia bellissima bambina, oh ragazzo ci sei anche tu. Oggi sono proprio fortunato»

Cesare era un uomo dal capello bianco sempre raccolto in un codino, la voce arrochita da anni di fumo, il viso paffuto e il sorriso perennemente stampato. Mi chiedevo se quello fosse l'effetto del mare o se tutti fingessero in questo paesino sperduto.

«Come stai, Cesare?» Era svanita ogni traccia di nervosismo dal volto di Kaia, aveva ripreso ad essere solare e cordiale tanto da intrattenere una breve conversazione con Cesare.

Le persone sembravano incantate dal suo modo di fare, lo avevo constatato al ristorante, i clienti pendevano dalle sue labbra e dai suoi sorrisi, Sienna ne era praticamente innamorata, Jordan avrebbe cosparso di petali il suo cammino. Per quanto riguardava me le avevo concesso di oltrepassare i limiti, promettendole addirittura di non abbandonarla senza nemmeno essere certo di poter mantenere parola, dal momento che appena possibile sarei sicuramente tornato a casa mia.

Niente e nessuno sarebbe riuscito a tenermi legato a questo posto.

«Terra chiama Adam» tornai in me trovandomi Kaia che mi porgeva un panino gigante.

«Porchetta e salsa barbecue, incredibile ma abbiamo gli stessi gusti» mi rivolse un sorriso sincero, gli occhi le brillavano alla vista di quella delizia e dovevo ammettere che era maledettamente bella.

Era estremamente naturale, una maglia larga che dato il caldo aveva annodato sotto il seno lasciando scoperta la pancia, il pantaloncino stretto le fasciava perfettamente la sinuosità del suo corpo. Il viso privo di trucco, il mio cappellino a coprirle in parte il viso ma non abbastanza da impedirmi di notare quel rossore che spesso e volentieri le scaldava le guance.

«Dai vieni andiamo a sederci che ho tantissima fame» mi prese per mano trascinandomi verso una panchina poco distante.

«Aspetta che vado a pagare»

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