15. Kaia

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Eravamo sulla via del ritorno, dopo il fortuito incontro avevamo deciso entrambi che il momento divertimento fosse finito e che potevamo tornare a casa.

Mi aveva ripetutamente chiesto se fossi arrabbiata, tentando di reprimere l'istinto di ridermi in faccia, alimentando di non poco la mia ira.

«Sei arrabbi-»

«No, sono calmissima» sbottai in un tono decisamente calmo e pacato.

«Lo vedo, emani proprio serenità» mi voltai per fulminarlo, fortuna che eravamo arrivati a destinazione e questo significava che potevo sbollire in totale solitudine.

«Bambi perché sei così agitata, sei stata fortissima, non rovinarti l'umore per il nulla» facile a dirsi, avrebbe dovuto spiegarlo al mio cervello che continuava a ripetermi quanto fossi sembrata stupida e insignificante.

«Perché anziché incenerirmi e sbuffare non mi spieghi cosa ti ha dato fastidio» si poggiò al muretto, una gamba a sorreggersi e le braccia incrociate, aspettando pazientemente una risposta che forse aveva senso solo nella mia testa.

«Non lo so, mentre ero lì mi sembrava che fosse tutto un botta e risposta di cui avevo il controllo ma analizzando le cose» mi stoppai rilasciando l'ennesimo sbuffo, sapevo cosa mi aveva dato fastidio, sapevo anche esprimerlo ma dirlo davanti a lui mi dava fastidio.

«Cosa hai analizzato? Sono sinceramente incuriosito» mi guardava senza battere ciglio e sapevo che non se sarei uscita finché non gli avrei dato una risposta.

«Mi è sembrato di essere irrilevante, prima ha completamente fatto finta che non esistessi, poi mi ha etichettata come tua sorella nonostante sapesse benissimo che non lo fossi, quasi come a voler sottolineare che non fossi un problema e in ultimo, ciliegia sulla torta, mi ha fatta passare come una ragazzina davanti a te, incurante di qualsiasi tipo di legame potesse esserci tra noi» dissi tutto d'un fiato.

Mi aveva dato fastidio l'incuria con cui mi aveva declassata, non era il nostro caso, ma non si era posta il minimo scrupolo nel caso in cui fossimo una coppia o magari stessimo vivendo un primo appuntamento. Con quale diritto mi aveva sminuita davanti a lui?

«Certe persone i problemi preferiscono arginarli» lo guardai corrucciata non capendo cosa intendesse.

«Non tutti sanno affrontare i problemi perché c'è il rischio di rimanerne schiacciati, di non essere in grado di combatterli e allora preferiscono far finta che non esistano. Preferiscono metterli in un angolo, sentendosi quindi superiori semplicemente perché non hanno avuto un confronto» rimasi profondamente colpita da quel concetto, sia per la profondità e realtà, sia perché non pensavo che potesse esprimere certe parole nei miei confronti.

«Tu pensi che io possa essere un problema da voler arginare?» Ero sinceramente interessata ad un suo parere, volevo capire con che occhi mi guardavano le persone da fuori e lui era abbastanza schietto e sincero da esprimere la sua opinione senza tanti giri di parole dettati dal desiderio di non offendere, finendo poi per dire tutto e niente.

«Hai tutte le carte in regola per essere un grosso problema ma penso che tu non abbia bisogno che te lo dica io» scelse di non sbilanciarsi, rimase sul vago e se da un lato non mi sorpresi più di tanto, dall'altro avrei davvero voluto che si esponesse di più.

«Quando le persone che ti vogliono bene e ti sono vicine ti dicono che sei speciale e bellissima, non sai mai quanto sia l'affetto a parlare e quanto sia la verità, il parere di un estraneo è meno condizionato» avevo uno specchio e due paia d'occhi, perciò sapevo benissimo com'ero e non avevo bisogno di sminuirmi per sentirmi dire quanto fossi bella ed inscenare quei teatrini patetici fatti di "no dai stai esagerando".

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