22.Kaia

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«Janet esci immediatamente» le avevo urlato per l'ennesima volta prima che il fumo ci impedisse di vederci l'un l'altra.

Era successo tutto improvvisamente, l'attimo prima stavamo per chiudere bottega e l'attimo dopo grida di paura interruppero la quiete.

A quanto pare c'era stato un problema in cucina e il mio primo pensiero fu quello di correre da Janet per aiutarla ad uscire, la conoscevo abbastanza bene da sapere quanto l'amore per il suo lavoro l'avrebbe portata a rimanere inerme di forte alla sua cucina che andava a fuoco e non potevo permetterlo. Aveva una famiglia, dei figli e doveva vivere per loro, a differenza mia che non avevo nessuno a cui dar conto.

Facevo fatica a distinguere le pareti, il fumo era dominante, sentivo gli occhi pizzicare e l'esigenza di tossire continuamente. Non ero così sicura di uscire indenne, conoscevo il ristorante come le mie tasche ma in quel momento tutto appariva distorto e confuso.

Avevo bisogno di accasciarmi e chiudere gli occhi e lo avrei fatto se non avessi sentito una voce, la sua voce.

«Kaia, Kaia sono Adam» e in un attimo mi sentii afferrare e scuotere ripetutamente, forse per evitare che svenissi, forse perché mi aveva scambiata per una di quelle palle di natele con la neve.

«Mi senti Kaia? Cerca di restare sveglia» sentivo la preoccupazione nel suo tono, perciò mi sforzai di dargli un segno del fatto che tutto sommato stessi bene.

«Smettila di scuotermi se non vuoi che ti vomiti addosso» la voce era roca a causa del fumo e del continuo tossire ma lui dovette percepirla come una lieta melodia visto il modo in cui mi strinse a sé.

«Mi farai morire ragazzina» non disse altro, mi sollevò senza troppo sforzo portandomi fuori, salvandomi.

Una volta usciti riconobbi una serie di persone in cerchio, sentii dei cori di sollievo. Conoscendo Adam aveva mandato al diavolo chiunque gli avesse detto che entrare a fare l'eroe fosse una pessima idea.

«Ragazzo sei stato un irresponsabile» sentivo voci che non conoscevo, Adam che continuava a ripetermi di rimanere sveglia, che era tutto finito mentre io volevo solo chiudere gli occhi e dormire.

Poi ci fu una frase che mi fece scattare sull'attenti «Dobbiamo portarla all'ospedale di Monterey»

Bastò quel nome, il ricordo di quel posto per farmi svegliare come una pazza. Non potevo tornare lì, non potevo rivedere quei corridoi, quelle stanze, le facce dei medici.

«No, sto bene, vi prego no» mi dimenavo, sembravo aver recuperato tutte le forze, perfino il mio corpo mi stava aiutando.

«Kaia, è solo per un controllo» Noah cercava di calmarmi ma io non sentivo storie, non sarei andata.

«No, vi sto implorando, chiamate Sienna, ditele che non voglio andare. Adam» non sapevo più chi invocare, avrei fatto scendere anche nostro Signore.

«Noah, sali in macchina che la portiamo a casa» il tono di Adam non ammetteva repliche, non mi guardava in faccia ma teneva il braccio saldo attorno a me.

«Adam, che stai dicendo?» Capivo lo sconcerto di Noah, ero appena scampata a morte certa.

«Le daremo una controllata noi, prego avvicinatevi all'ambulanza» una volontaria si avvicinò a noi, le mie urla dovevano essere arrivate a tutti i presenti. Probabilmente mi sarei dovuta rinchiudere in casa per giorni.

Guardai Adam, pregandolo tacitamente di accompagnarmi e in maniera fin troppo accondiscendente assecondò la mia richiesta sotto gli occhi sconcertati di Noah. Sicuramente tutti i tentativi di mantenere un profilo basso sarebbero falliti nell'esatto momento in cui Noah avrebbe raccontato tutto a Sienna.

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