38. Kaia

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Dopo la conversazione avuta con Adam ero caduta in un vortice di sensazioni negative che mi avevano portata all'isolamento.

Nell'esatto momento in cui aveva pronunciato quel nome avevo sentito la terra mancarmi da sotto i piedi, quasi come se mi stesse risucchiando e in parte avrei voluto fosse stato così, perché sentivo la necessità di sparire.

Ed era poi ciò che avevo fatto.

Erano passati un paio di giorni da quel confronto, giorni che avevo passato a casa tra lacrime, rabbia e paura.

Agli altri avevo detto che non mi sentivo bene e viste le condizioni in cui versavo nel momento in cui Adam mi aveva riaccompagnata a casa, ci avevano creduto tutti.

Erano due notti che non chiudevo occhio, erano mesi che ormai gli incubi su quella notte erano piano piano scemati, mesi di fatica buttati al vento perché adesso si erano fatti ancora più vividi e consapevoli.

Sapere che nel momento in cui mi ero convinta di essere tornata a prendere in mano la mia vita dopo quel momento orribile, la stessa vita aveva deciso di mettermi davanti colui che mi avrebbe sempre ricordato quel momento, colui che si portava dentro il mio stesso dolore, era una consapevolezza che non mi sentivo in grado di affrontare.

Forse la partenza di Adam non mi sembrava più così negativa. Il fatto che fosse andato via e nella migliore delle ipotesi ci saremmo visti una volta l'anno, mi avrebbe aiutato a sentirmi meno in colpa nel tenergli all'oscuro il fatto che io avevo visto sua sorella morire.

«Tenetevi forti ragazzi, si torna indietro»

Erano bastati cinque secondi per far sì che indietro non ci saremmo tornati mai.

Nel fare l'inversione la macchine si spense.

«Anita falla ripartire» urlai in preda al panico.

«Ci sto provando ma continua a spegnersi» il panico, l'agitazione e la poca lucidità non le permettevano di far ripartire quella maledetta macchina.

Le ultime parole che sentii furono quelle della canzone che passava allo stereo.

Call my name and save me from the dark,

Poco prima che due fari si avvicinassero a forte velocità e che il buio mi avvolgesse.

A risvegliarmi da quei ricordi fu il suono del telefono. Talmente frastornata risposi senza nemmeno leggere il nome della persona che mi stava chiamando.

«Pronto» percepii io stessa il mio tono angosciato e dovette percepirlo anche la persona dall'altro capo del telefono.

«Kaia, tutto bene?» La voce di Adam mi risvegliò completamente, ricordandomi che dovevo tornare in me perché lui era l'ultima persona che doveva arrivare a capire qualcosa.

«Ciao Adam, si tutto bene, mi ero appisolata e non mi aspettavo di ricevere una chiamata» tentai di essere il più convincente possibile. Non sapevo se Adam avesse abboccato o se avesse semplicemente scelto di lasciar perdere, fatto stava che scelse di non insistere.

«Mi chiedevo se ti andava di vederci, l'ultima volta mi sei quasi svenuta tra le braccia» voleva scherzare ma entrambi eravamo rimasti troppo provati da quella conversazione, per motivi differenti.

«Oggi non posso, vado da Adelaide. In questi giorni dovrò andare spesso, purtroppo non sta molto bene e voglio starle vicino» non era vero che Adelaide stesse fisicamente male ma era vero che sarei andata e mi sarei dovuta preparare mentalmente a quel confronto.

«Mi dispiace, spero si rimetta presto»

Nonostante la scelta di parole sapevo e si capiva che ci fosse rimasto male. Mi feriva da morire il pensiero che dopo essersi aperto io stessi facendo dei passi indietro, non era quello che volevo e non faceva bene a lui, ma non potevo nemmeno negare che tra di noi si fosse creata una crepa che ci avrebbe inghiottiti.

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