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Mezzogiorno era passato da un pezzo e ancora non c'era traccia di Beatrice. Il sole cocente si era fatto sentire con tutto il suo calore e ogni angolo del deserto sembrava dilatarsi sotto quel cielo immenso. Giusy e Nadia correvano di qua e di là con il quad, controllando ogni luogo, chiedendo a chiunque incontrassero, ma Beatrice sembrava essere scomparsa.

Giusy stava cominciando a cedere. I suoi occhi erano, il respiro affannato, e il calore opprimente non faceva altro che peggiorare la situazione. Cercava disperatamente di nascondere il panico, ma Nadia se ne accorgeva. Ogni volta che Giusy alzava il telefono per chiamare la figlia e sentiva solo il segnale vuoto, si poteva vedere una nuova ruga di paura formarsi sul suo volto.

«Non risponde... non risponde» ripeteva con voce strozzata, quasi come un mantra.

Nadia, che stava guidando con mani ferme, la guardò di sfuggita. Vedeva la tensione che stava divorando Giusy, e anche se cercava di mantenere la calma per entrambe, una leggera inquietudine stava iniziando a serpeggiare nel suo petto.

«Calmati... è solo arrabbiata e ha bisogno di tempo. Non è detto che le sia successo qualcosa. Questo posto è sicuro, lo sai. Non sarà andata lontano» cercava di rassicurarla Nadia, anche se sapeva che le parole, in quel momento, non avrebbero potuto davvero alleviare la sua angoscia.

Ma non serviva solo quello: Giusy stava palesemente male. Nadia se ne rese conto quando la vide diventare sempre più pallida. Il caldo spezzava la sua voce in sussurri, come se il corpo stesse cedendo.

«Ferma... dobbiamo fermarci un attimo» disse Nadia, decisa, sterzando bruscamente il quad verso il suo bungalow «Ti porto dentro per un po'. Non possiamo continuare così. Hai bisogno di riprendere fiato e bere un po' d’acqua»

«No! Dobbiamo prima trovarla! Non posso fermarmi, non finché non l'abbiamo trovata!» protestò Giusy, la voce che si incrinava sotto il peso dell'ansia. Ma il suo corpo stava cedendo, e lo sapeva. Le mani tremavano mentre cercava di digitare nuovamente il numero di sua figlia, le ginocchia quasi cedevano quando Nadia la aiutò a scendere dal quad.

«Ascolta, non ci fermiamo. Ma se ti sentissi male peggioreremmo solo le cose; non saremmo di aiuto a nessuno, meno che mai a Bea. Devi stare meglio. Solo cinque minuti, te lo prometto» insistette Nadia, con un tono deciso, ma gentile. Giusy, esausta, alla fine cedette.

Una volta dentro, Nadia la aiutò a sedersi sul divano. Corse subito a prendere una bicchiere d'acqua fresca e gliela porse. Giusy tremava mentre beveva, il liquido le scorreva in gola come un sollievo temporaneo, ma il pensiero di sua figlia le bloccava qualsiasi tentativo di tranquillizzarsi.

«Non risponde... Non risponde» continuava a mormorare, con gli occhi fissi sul telefono come se volesse costringerlo a suonare «Dio... e se le fosse successo qualcosa?»

Nadia si inginocchiò accanto a lei, prendendole la mano.

«Respira. Deve essere solo molto arrabbiata, lo sai come sono gli adolescenti. Ha bisogno di tempo per processare quello che ha visto, tutto qui. Non dobbiamo immaginare il peggio. Non è il momento di farti divorare dai sensi di colpa. La troveremo, te lo prometto» disse Nadia, cercando di mantenere la calma. Anche se anche lei sentiva un peso nel suo petto, sapeva che la priorità ora era riportare un po' di serenità a Giusy, almeno il minimo indispensabile per continuare a cercare.

«E se non mi perdonasse mai?» sussurrò la donna con le mani tremanti mentre stringeva il telefono. Il panico era evidente nei suoi occhi, così come il senso di colpa che le stava lacerando l'anima «Non posso perderla, Nadia… Non posso»

La ragazza non rispose subito, le accarezzò la mano con calma «Non la perderai» disse infine, con una sicurezza che sperava Giusy sentisse vera, anche se lei stessa sapeva che quel tipo di ferite non si rimarginavano facilmente.

La voce della crisalideDove le storie prendono vita. Scoprilo ora