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Quell'orario così normale in cui prendere sonno però non fu di buon auspicio perché già alle quattro Nadia si iniziò a svegliare.

La luce della luna filtrava timidamente attraverso le tende della stanza d'albergo, riempiendo l'aria di un silenzio ovattato. Nadia, ancora avvolta nei ricordi e nelle sensazioni della notte appena trascorsa, si svegliò definitivamente, con il cuore ancora leggero e il corpo rilassato. Il respiro di Giusy, accanto a lei, era regolare e profondo, segno che ancora dormiva profondamente.

Con un movimento lento e quasi silenzioso, Nadia si alzò dal letto. Si avvolse in un morbido accappatoio bianco trovato nell'armadio e, per un istante, guardò Giusy. Dormiva con una dolcezza che sembrava surreale, i capelli scompigliati sul cuscino e una mano che stringeva leggermente il lenzuolo. Il suo viso era disteso, sereno, come se tutti i pensieri e le incertezze che avevano preceduto la notte si fossero dissolti nel nulla.

Nadia sorrise tra sé, sentendo il calore di quell'intimità ancora addosso.

Prese il pacchetto di sigarette dal tavolo accanto e uscì lentamente sul balcone, lasciando la porta scorrevole socchiusa. Fuori, l'aria era fresca, e il suono lontano del traffico cittadino le riempì le orecchie mentre accendeva una sigaretta. Il fumo si disperse nell'aria della notte, portandosi via, almeno temporaneamente, i pensieri più pesanti. Nadia si perse a guardare l'orizzonte, riflettendo su quante cose fossero cambiate in così poco tempo.

Dopo qualche minuto, Giusy si svegliò lentamente, ancora intorpidita dal sonno. Si stiracchiò tra le lenzuola, sentendo la leggera freschezza del letto ormai vuoto accanto a lei. Si voltò e vide Nadia, ferma sul balcone con il fumo della sigaretta che danzava intorno a lei. Senza pensarci troppo, afferrò il lenzuolo e lo avvolse intorno a sé, coprendosi per poi alzarsi e raggiungerla.

Spingendo con delicatezza la porta scorrevole, uscì anche lei sul balcone portando le sue mani sulla schiena di Nadia che l'aveva già sentita arrivare. Poggiò la sua fronte lì dove erano le sue mani e rimase così per qualche istante: «Dimmi qualcosa, ti prego».

Fu una supplica, un sussurro.

Era la prima cosa si dicevano da quella fatidica frase richiesta da Giusy.

Nadia si voltò verso di lei incrociando i loro sguardi e poggiandole una mano sulla guancia.
La donna chiuse gli occhi a quel contatto e inclinò la testa per sentire ancora di più quel calore.

«Non voglio parlare, non voglio neanche pensare. Farlo significherebbe mettere in conto il domani... che poi è oggi».

Giusy sospirò: «No, per la prima volta non sto pensando al domani, non tiriamolo fuori».

«Ed io per la prima volta ci sto pensando fin troppo».

La donna aprì gli occhi incatenandoli ai suoi per poi prenderle il viso e darle un bacio che le facesse dimenticare tutto. E fu così. Un brivido percorso la schiena della ragazza che si fece facilmente tirare dentro chiudendosi la porta scorrevole alle spalle.

Rimasero in piedi in mezzo alla stanza e quando le loro labbra si staccarono restarono comunque lì, inermi. A guardarsi negli occhi. In un silenzio che non aveva bisogno di altre parole.

Giusy, avvolta nel lenzuolo, sembrava ancor più piccola davanti a Nadia, ma la sua presenza, lì di fronte a lei, era rassicurante. La notte era stata un viaggio per entrambe, un momento di scoperta reciproca, e ora si trovavano lì, in una calma condivisa.

Le sue mani scivolarono sulle maniche dell'accappatoio e ne alzò i lembi:

«Non sapevo avessi tatuaggi».

«Ne ho sei, non sono visibili se decido che non voglio farli vedere... peraltro in inverno è pressappoco impossibile notarli in mezzo a camicie e maglioni».

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