16. She

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Aroon

Amavo passeggiare per Londra, ma soprattutto amavo perdermi tra le sue vie secondarie, in quegli angoli quieti e pittoreschi, così diversi dalle strade centrali come Regent Street o l'imponente Piccadilly. Neal's Yard era una piccola gemma nascosta nel quale risplendevano edifici dipinti di azzurro, giallo e rosa: una piazzetta circondata da fiori e negozi affascinanti, capaci di catapultarti in un universo di pura quiete e serenità. Oltrepassai l'ingresso del Monmouth Coffee e salutai la figlia della proprietaria, che se ne stava seduta dietro alla cassa come ogni mattina. L'odore pungente dei chicchi tostati si mischiava perfettamente a quello dolce dei pasticcini, disposti accuratamente all'interno di un banco frigo spazioso ed elegante. Come da routine attesi di ricevere il mio espresso e uscii sorridente dal locale, stringendo tra le mani il bicchiere da asporto. Mi sedetti sulla panchina in legno posta vicino all'uscio e sorseggiando lentamente la bevanda, iniziai a leggere le notizie sul The Times. Un'ondata di nostalgia, mi riportò mentalmente tra gli uffici del One Franklin Square, un edificio mastodontico di dodici piani, nonché sede della testata giornalistica per cui lavoravo: il Washington Post. Allontanai la mente dal lavoro e dopo aver finito l'espresso, tornai lentamente verso Woburn Walk.

Quello era l'unico momento della giornata dove riuscivo a dimenticarmi o almeno a non pensare al reale motivo per cui mi trovassi di nuovo in Inghilterra. Le giornate prive di mansioni lavorative, mi costringevano a inventarmi nuove scuse per non restarmene per ore seduto sul divano vintage presente in quel piccolo, ma confortevole appartamento composto da sole tre stanze. Una camera da letto matrimoniale, un bagno e la cucina open space erano lo stretto necessario per vivere eppure, non riuscivo ad abituarmi a quegli spazi ai miei occhi troppo grandi per un uomo solo come me. Pensavo a Evelyn in ogni momento del giorno e tra le chiamate frequenti, vi era sempre lo stesso numero, quello della clinica. Non avevo smesso di chiedere informazioni sulla salute di mia figlia, come non mi ero arreso alla possibilità di avere un permesso per incontrarla. Avevo deciso di fidarmi del giudizio professionale del Dott. Harris, provando a mettere in secondo piano il mio bisogno di vederla, ma più i giorni passavano e più l'ansia e l'apprensione crescevano. Finii di disporre la piccola spesa fatta al Seven Dials Market nel frigo vuoto, poi passai a controllare la posta elettronica sul mio portatile. Mi accasciai sul divano e iniziai a scorrere tra le centinaia di notifiche, ignorando la maggior parte di esse. Risposi frettolosamente a una collega, l'unica davvero interessata a sapere come stesse andando il ricovero di mia figlia e chiusi il portatile, lanciandolo sui cuscini di fianco a me.

Accesi la televisione, premendo compulsivamente sulla freccetta del telecomando. Le voci interrotte dei vari canali si dispersero nell'ambiente, mentre i pensieri continuavano ad accavallarsi l'un l'altro. Spensi lo schermo imprecando sottovoce e frustrato, mi avvicinai al tavolo della cucina. Un suono ripetuto e un leggero bussare alla porta, mi indussero a cambiare destinazione, e con passo moderato raggiunsi la porta laccata di bianco.

«Su sbrigati! Sta per piovere e mi sono appena fatta la piega.»

Chiuse l'ombrello e strusciò le scarpe sullo zerbino in fibra di cocco, attendendo che mi allontanassi dall'ingresso per farla passare.

«Ciao Katharine.»

Evitai qualsiasi forma di convenevoli e tornai verso il soggiorno, mirando alla macchinetta del caffè.

«É sempre un piacere vederti, fratellino.» Rispose sarcastica, posando la giacca nera sulla spalliera di una sedia.

Mia sorella abitava a Londra da dieci anni e lavorava in un'agenzia immobiliare a pochi passi dall'appartamento. Motivo per cui mi fu estremamente facile trovare un alloggio in così poco tempo.

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