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La pioggia aveva finalmente smesso di cadere, ma l'umidità nell'aria rendeva tutto più pesante, come se il mondo fosse intrappolato in una melma vischiosa. Il cielo, di un grigio opaco, sembrava riflettere quella tristezza che mi schiacciava dentro, come se ogni nube avesse assorbito un po' della mia solitudine. Le strade di Seoul erano ancora bagnate, con l'acqua che si rifletteva nelle pozzanghere come specchi oscuri, mentre io camminavo veloce, cercando di non farmi travolgere dal traffico che non smetteva mai di muoversi. Il suono dei clacson, il battito dei passi della gente che affollava il marciapiede, tutto sembrava inghiottirmi. Eppure, ogni giorno sembrava non passare mai.
"Un altro giorno da affrontare," pensavo tra me e me, mentre mi avvicinavo al cuore pulsante della città. Il solito peso mi stringeva il petto, ma non potevo fermarmi. Non avevo scelta. Ogni passo che facevo mi allontanava sempre più da quella parte di me che desiderava mollare tutto, ma non era mai il momento giusto. Oggi sarebbe stato solo un altro giorno come gli altri, in cui avrei lavorato senza pensare troppo a quello che sarebbe successo. A quello che avevo lasciato indietro.
Il mio riflesso si rifletteva nel vetro lucido di un negozio mentre passavo: capelli neri, lunghi, un po' ondulati, che cadevano disordinati sulle spalle. Il viso che mi fissava non mentiva mai. Gli occhi a mandorla brillavano un po' di più del solito, nonostante la stanchezza che mi gravava addosso. Il mio viso, un incrocio tra tratti coreani e cinesi, rifletteva quella stessa intensità che mi aveva sempre contraddistinta, quella malinconia che nascondevo dietro uno sguardo che cercava di sembrare deciso.
Non mi ero mai sentita a mio agio con il mio aspetto. Ogni giorno sembrava che fossi un'altra persona, riflesso di un'inquietudine che mi portavo dentro. La pelle chiara e luminosa parlava di radici lontane, ma non mi sentivo mai davvero a casa. Ogni parte di me sembrava legata a un mondo che non riuscivo a comprendere completamente. E mentre camminavo per le strade di Seoul, il pensiero di quel luogo lontano che chiamavo "casa" continuava a ronzarmi in testa, ma ormai sembrava più un ricordo sbiadito che una realtà a cui appartenere.
Il mio telefono vibrò nel mio zaino, distogliendomi dai miei pensieri. Mi fermai un attimo, appoggiandomi al muro di un negozio. Lo estrassi e vidi il nome di Haru, mia sorella maggiore, lampeggiare sullo schermo. La sua voce mi accoglie subito, come un abbraccio caldo che, in quel momento, sentivo di cui avevo bisogno.
"Ciao piccola!" Mi sorrideva con le parole, ma c'era qualcosa di diverso nel suo tono. "Come va? Ti ho sentita distante ultimamente."
Mi fermai, lasciando che il frastuono della città mi circondasse, ma dentro di me c'era solo silenzio. La sua voce tradiva una preoccupazione che non riuscivo a ignorare.
"Scusa, Haru. È che sto correndo da una parte all'altra, tra l'università e il lavoro. Non ho nemmeno il tempo di respirare." La mia voce suonò stanca, quasi vuota. Non volevo farle pesare tutto questo, ma ormai non sapevo più come nascondere il mio malessere.
"Lo so, tesoro. Però non dimenticare di chiamare mamma. Ti pensa, le manchi."
Un nodo mi si strinse nello stomaco. Non è che non volessi chiamarla, ma non sapevo più come farlo. Dopo la morte di papà, mia madre era cambiata. Si era chiusa in se stessa, in un modo che non riuscivo a comprendere. Non siamo mai state particolarmente affettuose, ma da quel giorno lei sembrava essersi rifugiata in una solitudine che non riuscivo ad affrontare. Ogni tentativo di avvicinarmi sembrava solo allontanarmi di più. Ogni parola che le dicevo sembrava scivolarmi via dalle mani, come sabbia.
"Lo so... è che non so nemmeno da dove cominciare," risposi, cercando di non farla preoccupare troppo. Ma sentivo che non c'era niente che potessi fare. "Mamma è sempre stata così, dopo papà..."
Haru sospirò, come se avesse già capito tutto senza bisogno di altre parole. "Non devi parlarle ogni volta, Emily. Anche solo un messaggio. Un po' di presenza. Lei ti sente lontana."
Mi fermai di nuovo, guardando il mio riflesso nel vetro di un negozio di fronte al club. Il mio viso si specchiava in quella superficie lucida, ma dentro di me c'era solo il vuoto. Non riuscivo a colmare quella distanza. Non sapevo come essere la figlia che mia madre avrebbe voluto, e forse avevo paura di scoprire che non sarei mai stata abbastanza per lei. La paura che mi paralizzava era che, anche se tentassi, non sarei mai riuscita a riavvicinarmi a lei. E forse, in fondo, non volevo nemmeno farlo. Non volevo sentirmi più un'estranea nella mia stessa famiglia.
"Va bene. Le scriverò qualcosa. Domani," dissi, più per lei che per me. Non era una promessa, ma era tutto ciò che riuscivo a dare in quel momento.
Haru sorrise, anche se non la vedevo. La sentivo nel tono della sua voce. "Ci credo, Emily," rispose con una sicurezza che mi fece sentire meno sola. Poi cambiò argomento, cercando di distrarmi. "E stasera? Hai tutto pronto per il club?"
Sospiro, il pensiero di quel posto mi appesantisce il cuore. "Sì, tutto pronto. Non c'è molto da preparare. Il lavoro non mi fa né caldo né freddo. Ci sono dentro fino al collo." Le parole mi uscirono più amare di quanto avessi voluto. Il club ormai era la mia realtà, e non era mai stato ciò che avrei desiderato. Ma mi ero adattata, come facevo sempre. Quando le cose andavano storte, mi adattavo. E continuavo.
Haru non rispose subito. Poi, dopo qualche secondo di silenzio, sentii un altro sospiro. "Non dimenticare che non sei sola, Emily. Non lasciare che quel posto ti consumi."
Mi fermai, guardando il club che si stagliava davanti a me, con la sua facciata imponente, i neon che brillavano nella notte. Il rumore della città, che non si fermava mai, mi pareva più distante, come se il club fosse un altro mondo, lontano da tutto. Non mi dava più rabbia, ma solo un'inquietante consapevolezza che ormai era solo una parte della routine. La paura di rimanere senza un futuro mi aveva spinta lì, e ora il club era come una prigione da cui non sapevo uscire. Non era quello che avevo sognato, ma era tutto ciò che mi restava.
"Ci sentiamo domani, promesso," dissi, la mia voce tradiva l'incertezza che ancora mi assillava.
"Mi raccomando. Ti voglio bene, sorellina."
La chiamata si interruppe e misi il telefono in tasca. La sensazione di distanza che mi lasciava la sua voce mi restò dentro, un peso che si aggiungeva a quello che già portavo. Non mi sentivo sola, ma sentivo che c'era un abisso tra me e chi mi circondava. Camminai verso il club, ogni passo un distacco sempre maggiore da me stessa. Il cuore batteva forte, la mia mente confusa, come se stessi rincorrendo sogni che non riuscivo mai a afferrare.
Arrivai davanti al club, quell'edificio grigio e massiccio, la facciata che sembrava quasi minacciosa nella sua imponente indifferenza. Dentro di me, però, non provavo nemmeno più quella rabbia che una volta mi aveva spinta a rifugiarmi lì. Era diventato solo un altro posto dove nascondermi, e mi chiesi per l'ennesima volta:
"Che cosa ci faccio qui?"
Spinsi la porta, e la musica mi travolse immediatamente, il fumo mi avvolse come una nebbia, la folla mi sfiorò senza nemmeno vedermi. E io ero lì, in mezzo a tutto questo, ancora senza sapere come uscirne.

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Blazing Hearts
RomanceIn una Seoul, dove i sogni brillano ma i segreti oscurano la realtà, Emily Wang è una studentessa di design che cerca di costruirsi un futuro luminoso nella capitale. Emily ha sempre cercato di proteggersi dalla luce del mondo, ma tutto cambia quand...