Era quasi l'alba.
Il sole iniziava lentamente a sollevarsi dal mare, tingendolo di un arancione pallido. Le sue luci opache filtravano a fatica attraverso le nuvole, la cupa atmosfera della notte stava svanendo; come un branco di pachidermi, la piccola flotta le andava incontro.
L'ammiraglia capeggiava il convoglio, il veliero più ricco che quell'oceano avesse mai potuto cullare. I suoi tre alberi sfidavano i venti; alti quasi trenta metri, di legno intarsiato e ricamati a bassorilievi, esibivano trionfanti uno sfarzo assoluto, quasi per schernire la bellezza della natura. Il vascello era maestoso, una perla trasportata dalle acque. Preziosi decori correvano lungo le murate, a tratti dorati, a tratti color argento, e incorniciavano una sessantina di aperture dalle quali sbucavano eleganti cannoni. Ciascuno dei portelloni recava l'effige Barbara incisa a mano, mentre le tradizionali balconate di poppa lasciavano spazio a numerose altre batterie di colubrine, disposte per ben rispondere a eventuali inseguitori. A prua, appena sotto il bompresso, l'enorme polena in pietra s'innestava sul legno. Aveva la forma di una torre a base quadrata, un antico baluardo in cima al quale panneggiavano quattro bandiere rossicce, i vessilli reali. Ogni suo particolare era miniaturizzato con cura e dedizione: le feritoie, i merletti, le logge sospese. Era il simbolo di un grande regno. Sul ponte si collocavano degli originali corridoi a vetrata che davano su un piccolo atrio, mentre gli alloggi dei marinai erano disposti su due piani sottocoperta. I locali più rialzati, ai quali si accedeva dallo scarno vestibolo, erano le mense, i più bassi le biblioteche, gli archivi e ancora più giù le stive.
Proprio in una di queste stanze, iniziava la giornata più sconvolgente di un grande comandante.
Il capitano se ne stava rannicchiato sotto alle coperte; la tempesta di pochi giorni prima aveva raffreddato l'aria e la quercia s'era impregnata di quella fastidiosa frescura. Una candela spenta riempiva il piccolo alloggio del suo odore, le pareti emanavano il pungente profumo del legno bagnato. Il comodino sporco di cera, gli scaffali lavorati e la vecchia sedia color del sughero ricreavano un'atmosfera malinconica. La camera era immersa in una quasi totale oscurità.
Un muggito si levò dalla cuccetta: il comandante si era appena svegliato.
Con gli occhi socchiusi e le labbra sigillate, allontanò le coperte e si mise a sedere. D'istinto sgranò le pupille, ma il buio era troppo fitto; chiunque si fosse trovato con lui sarebbe riuscito a malapena a intercettare la sua sagoma muscolosa. Poi si alzò, sprigionando un'aura possente, sbadigliò compostamente e sollevò gli occhi verso il tetto, li strinse per vederci meglio e capì cosa fare. Avviandosi alla porta, prese uno sgabello sciancato posto a guardia dell'uscio e lo depose accanto al letto, vi salì e sbloccò la botola che si affacciava sul ponte. Cigolando il boccaporto si aprì, ma nemmeno un raggio di luce filtrava dall'esterno. Il capitano, scocciato, saltò giù in cerca di qualcosa per accendere la candela e si guardò intorno; un fiammifero sarebbe stato l'ideale. Trovatolo in uno dei cassetti dello scrittoio, accese il piccolo cero.
Una luce diffusa iniziava a rischiarare l'alloggio. Il portamento del comandante cominciava a svelarsi.
Era un uomo sulla quarantina davvero di bella presenza. Gli occhi azzurri, lambiti dal rossore della fiamma, brillarono quasi a illuminare l'intera cabina. I rigogliosi capelli dorati gli rivestivano il capo come una colata di metallo fuso, mentre una barba in ordine incorniciava la bocca, ancora serrata per via del sonno. La capigliatura a spazzola lasciava scoperta la fronte larga, piatta e senza una ruga, dove le sopracciglia foltissime sembravano fuori posto.
Il Barbaro esibiva un'accentuata muscolatura. Come in una statua di marmo rifinita attentamente dal suo scultore, il barlume della stanza enfatizzava i contorni e i lineamenti del guerriero. Le spalle rigide sostenevano il collo massiccio, le braccia erano possenti e le gambe nerborute, mentre sottili ombre inquadravano gli addominali.
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Nel nome di Calidan
FantasyL'intramontabile prosperità di Umek è compromessa da un autunno troppo caldo, mentre tutte le miniere d'oro sembrano essersi esaurite. Re Calidan, avvilito dal destino che si prospetta agli occhi della sua gente, è deciso a trovare una soluzione. C...