Capitolo XXV - Senza certezze

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«Maledizione, amico, vuoi parlare?» lo tormentava Rèkon, scuotendogli il braccio sano. «Quanti ne hai ammazzati?»

Di nuovo, Gràen era sulla branda. L'ultima volta si era svegliato in un padiglione di fortuna, mentre adesso notò con stupore di trovarsi all'interno di un'abitazione, una casa con le pareti di legno. Stava bene, perché intorno a lui c'era il fresco come di una brezza, nelle sue viscere il caldo dei fuochi di Hok. Gli sarebbe piaciuto svegliarsi ancora con Ban, ma Rèkon pareva essersi rimesso dalla ferita e non voleva abbandonarlo al suo riposo. Gràen stringeva le palpebre e fingeva di dormire, eppure sapeva che il generale non si sarebbe arreso facilmente.

Era sfuggito con coraggio alle insidie dei nemici, e gli piaceva pensare d'essersi meritato un poco di pace, di ininterrotta solitudine. Nelle sue riflessioni, il vocione dell'amico acquistava toni mostruosi come il ruggito di una belva lontana, una massa gialla sfocata quando osava aprire gli occhi. Le sortite del suo sguardo non erano sfuggite all'attenzione di Rèkon, perché altrimenti, forse, se ne sarebbe andato. A un certo punto Gràen dichiarò guerra a quell'intrusione chiassosa, ricordandosi dell'ultima volta che era stato messo su un lettino. La notte dell'assalto sulla spiaggia egli era svenuto per la paura, ma nella fuga aveva dato filo da torcere ai Norem, e ciò significava esigere un momento di quiete dopo quel dolce risveglio.

Un colpo sulla testa lo fece infuriare.

«L'hai voluto tu, Gràen.»

Il capitano sgranò gli occhi e serrò le labbra ancora spaccate.

«Ma cosa diavolo ti è preso?»

«Se sei sveglio, mi devi rispondere.»

Gràen fece dei versi di totale disappunto, infuriato.

«Ma non vuol dire che devi svegliarmi a colpi di bastone, Rèkon.»

«Rispondimi, avanti.»

«Che cosa vuoi sapere?» gli domandò esasperato.

«Tutto.»

«Qualcuno mi vuole morto.»

«Lo sapevo!» urlò il generale. «Il vecchio ti ha tradito meglio di Calidan!»

«Non credo sia stato Vargan.»

«Ma è lui che ti ha portato alla città» obbiettò l'altro. «È come Umek?»

«Il contrario» spiegò Gràen. «Per questo Vargan non ha colpa.»

Rèkon aggrottò le sopracciglia.

«Se mi avesse tradito, non mi avrebbe assegnato una stanza comoda, dato da mangiare e detto che Hok è un posto orribile, sbaglio?»

«Sbagli» si limitò a dire il Barbaro.

«Aveva organizzato un incontro per parlare della nostra missione, Rèkon.»

«E cosa ti ha detto? Quando li attacchiamo? Io e Ulther, con Borin, l'altra mattina abbiamo fatto un Barbaro nuovo.»

Gràen batté le palpebre, e Rèkon confermò con un sorriso malizioso.

«Rèkon...»

«Pensavo che eri morto, e quindi ho mandato l'Anar da Calidan e ho fatto un Barbaro.»

«Avete... creato dei Barbari con il sirion e l'oro?»

Rèkon ridacchiò.

«Stamattina dovevamo farne ancora, ma abbiamo fermato le cose.»

«E ci siete riusciti?»

«Nessuno può sbagliare con la ricetta di Melain davanti al naso.»

Quand'era via, specie in altre città di Umek, Gràen portava sempre con sé una copia del libro di Ràrek. Scosse il capo per non averlo fatto l'unica volta in cui ci sarebbero potute essere delle conseguenze. Però in quel modo, almeno, Rèkon gli aveva svelato che il vecchio volume non era andato distrutto per l'acqua.

Nel nome di CalidanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora