Capitolo XVIII - Riabilitazione

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Dopo la partenza di Gràen era stata ordinata la costruzione di un villaggio sulla spiaggia, per rimpiazzare più stabilmente l'accampamento distrutto. Ulther ne aveva tracciato la pianta e Borin, l'artigiano ufficiale della compagnia, si era preso il compito di reperire i materiali necessari e di presiedere alla fondazione della cittadina, coordinando l'opera di abbattimento dei pini e il riciclaggio delle carcasse dei velieri. Così il canto dei merli, all'albeggiare, si era mischiato con il trambusto delle prime operazioni edili, allietando i Barbari più mattinieri sullo sfondo di nuvole rosa.

«Tre mesi a primavera, con Melain, Delna e Gretah bel tempo giorno e sera» canticchiava una voce. «Tania d'estate e poi c'è Silmakrin, Anar per le foglie colorate.»

Rèkon si stava annoiando.

«L'ultimo è Garil, freddo inverno, tutti li raccoglie e torna la primavera, con Melain, Delna e Gretah bel tempo giorno e sera» ricominciava, e con sempre più enfasi.

Insieme a lui nella tenda Oldor lo stava guardando, mentre il generale, coricato, inclinava come un manubrio il suo fedele specchio, lasciando che la rabbia si disperdesse assieme alle parole recitate dalla sua immagine sul vetro.

«Siamo a tredici, Rèkon» si pronunciò il guerriero, guardandosi l'avambraccio scorticato. «Andiamo da Borin?»

«Mi hanno detto che devo riposare, amico.»

«Ma Borin voleva far vedere la nuova spada a te... Da quando stai a sentire gli altri?»

«Da quando ho finito di combattere.»

Oldor sogghignò divertito e si alzò, dirigendosi verso la branda del compagno. Non appena Rèkon ne dedusse le intenzioni afferrò il bastone e si tirò a sedere sul bordo del letto, guardando bieco l'amico in avvicinamento. Oldor prese lo specchio e lo infilò sotto al cuscino. Porse il braccio sano al generale, ma quello, piantando tra la sabbia il ramo, volle alzarsi da solo con non poco sforzo.

La ferita era ancora fresca, ma dopotutto gli consentiva di fare qualsiasi cosa senza troppi impedimenti. Rèkon non pensava sul serio di aver posto fine alla sua carriera di inestimabile guerriero e, invece di sfogare la frustrazione sui compagni, si limitava a esibire un certo pessimismo o a canticchiare canzonette, sempre attento a che la vendetta non smettesse mai di mormorare negli animi dei sopravvissuti.

Appena usciti, infatti, la spiaggia era popolata da un gruppo di Barbari in allenamento a corpo libero, mentre altri, grazie ad alcuni rottami convertiti in attrezzi da palestra, eseguivano degli esercizi, per così dire, più sofisticati.

«Come vanno i ragazzi, Ulther?» chiese il generale.

«Queste prime impressioni le voglio giudicare positivamente.»

«E allora aggiungi a tutti altri dieci piegamenti» commentò il Barbaro, soddisfatto di aver scelto Ulther come inflessibile sovrintendente della cosa.

Più avanti, vicino al cantiere principale, la candida dimora di Borin era il centro di un via vai confuso di lavoratori, segno dell'assenza di Ulther e della grossolana organizzazione del vecchio artigiano.

A passo lento, sotto un sole indeciso a dar battaglia alle nubi, i due Barbari giunsero a destinazione e si intrufolarono nel padiglione.

«Per mille paranchi, è vivo per davvero!» li salutò una voce che aveva perso il timbro roco della vecchiaia.

L'artigiano, paffutello, scostò coi piedi le cianfrusaglie in giro per la tenda e trotterellò alla volta dei compagni, una scatolina di chiodi nella mano sinistra. Col braccio libero tastò Rèkon senza troppa attenzione e gli sorrise e lo studiò in due secondi con gli occhioni grigi. A quella vista il generale mugugnò soddisfatto, arricciando la bocca chiusa.

Nel nome di CalidanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora