Capitolo XXVII - Un nuovo compagno

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«Sennò mi ammazzano» spiegò ancora Zurbak, rovistando nel suo fagotto.

Gràen sapeva cosa ne avrebbe cavato fuori, e infatti il Norem si armò di due sequi, uno per mano, e tuffò i canini nei frutti, masticando a bocca aperta.

«Non so davvero come poterti ringraziare...» balbettò il comandante steso sul letto, ricordando gli avvenimenti di Hok.

Era sera, e incominciava a fare fresco.

«Mi state dando rifugio, io credo che è sufficiente.»

«Una vita per una vita» s'inserì Fimburl, appena ripresosi dallo spavento dell'allarme.

«È così, Barbari.»

Rèkon si era accomodato a distanza su una sedia nell'angolo. Sospettoso, con la spada nuova luccicante in grembo, guardava accigliato la scena, pronto a saltar su. Dagli occhi vispi e glaciali passava una voglia matta di frantumare la testa di quel vecchio Norem basso. Oldor però si faceva curioso, lo giovane scrittore prendeva a volte gli appunti. Nessuno temeva il mostro fuggiasco.

«Mi dispiace non avere incontrato Vargan sulla questione di Skull» mormorò stanco Gràen. «Ho viaggiato invano.»

«Non è mai facile fare le cose sotto il naso a punta di certi generali.»

«Forse andrò ancora fuori da questa spiaggia, ma ho paura di pensare a tornare in quel posto.»

«Ti ho detto che poi ci prendi l'abitudine» gli rispose Zurbak, leccandosi le labbra. «Ti abitui a viverci e non ti abitui ad andarci due volte?»

«Non dovremo farlo subito» intervenne Oldor con un sorriso, poggiando la mano su una gamba del capitano. «Aspettiamo.»

«No, Oldor» obiettò il Norem.

Il Barbaro si stupì d'esser chiamato per nome da uno sconosciuto. Rèkon a distanza arricciò la faccia.

«Gràen deve riprendersi, oppure andrà qualcun altro.»

«Così l'ammazzate per davvero, sbaglio?» esplose il generale. «Lì, se mai un Barbaro deve andarci, gli andremo appresso tutti con le spade di fuori.»

«Prima ci vuole una pianificazione» dissentì Zurbak, senza notare il tono polemico dell'interlocutore, appollaiato sulla seggiola lontana come un'aquila su di un fuscello. «Dobbiamo essere veloci, sennò Skull ci mette poco ad attaccare per primo.»

Il comandante pensò all'incontro davanti alla casa disabitata. Un brivido lo assalì per un istante, come la voce pungente del generale dei Norem.

«Anche se andassimo tutti, Rèkon, non so fino a che punto potremmo spingerci» disse Gràen, voltando sul letto il capo verso l'amico.

«Se ci sei riuscito tu, perché gli altri no?»

«Per poco non tornavo più da quell'inferno. Non so come ho fatto.»

«Hai fatto perché ti chiami Gràen e sei un Barbaro, amico.»

Il capitano sorrise.

«È così» li incoraggiò Zurbak. «Vargan non ha scelto a caso i suoi alleati.»

Gràen annuì più volte in mente, realizzando come di certo né Vargan né Argamek, prima di Calidan, avrebbero potuto agire senza le dovute valutazioni sulle misure da prendere. Tuttavia era palese l'inferiorità dei Barbari nei confronti dei soldati Norem, più inclini e preparati alla guerra dei prescelti di un re che inneggiava alla pace.

«Il Norem ha ragione» si pronunciò Oldor, e si rivolse a Zurbak. «Speriamo in poco tempo di conoscere i piani del tuo re.»

«Quanti siete?» chiese il custode, già figurandosi cifre con diverse migliaia.

Nel nome di CalidanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora