Capitolo XXVI - Combattimento sul mare 2

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Una scarica tuonò dalla nave lontana.

«Ci siamo» mormorò Darek, e il vento portò le sue parole al timoniere.

«I prossimi colpi non andranno a vuoto, capitano» lo mise in guardia il navigatore.

«Colpiranno le stanze, le finestre, che facciamo?»

Le due navi più vicine spararono a loro volta. Avevano otto bocche ciascuna.

«Viriamo» spiegò il timoniere, mentre con la forza dei muscoli girava la ruota.

L'Anar offrì lenta la fiancata al nemico, inclinandosi un poco per la velocità, mostrando ai Norem la sua mole preziosa. Lo scafo rivoltò quintali d'acqua spumeggiante. I mostri svoltarono di rimando, volgendo all'Anar le prue sottili dei due velieri.

«Ammainate le vele!» ordinò Dàrek all'equipaggio sottostante.

I Barbari si mossero con rapidità. Trotterellarono fino ai piedi degli alberi e si arrampicarono per governare le stoffe. Attesero che la manovra del timoniere venisse completata, altrimenti le vele, gonfie di vento, non si sarebbero potute riavvolgere. Quindi cercarono con le mani le corde giuste, tirarono delle funi, le sbrogliarono ove necessario. Gridarono perché tutti capissero, si accordarono sui compiti dei singoli marinai e come atleti incominciarono lo spettacolo. Allentando le cime, con gli occhi fissi sulle pulegge, fecero scorrere le corde come stabilito, e le vele iniziarono ad arrotolarsi.

Dàrek scese giù dal cassero, correndo nel trambusto. In alto sugli alberi, i Barbari assicuravano le vele ai pennoni con gli occhi puntati sulle due navi ormai vicine.

«Dobbiamo sparare!» s'innervosì qualcuno.

«Sparate!» ululò un altro.

«Sono troppo vicini!»

Dàrek però aspettava, e nel frattempo i nemici armavano gli equipaggi. Quando capì le loro intenzioni, corse alla scala che scendeva sottocoperta.

«Non sparate finché si girano!» ordinò, e quella disposizione corse giù ai ponti.

Le due navi stavano per speronare l'Anar, ma alla fine si misero di fianco. Dàrek parve quasi corrergli incontro, affacciandosi dalla battagliola con le guglie d'argento. Ultimata la svolta, Dàrek le guardò. Erano piene di Norem che urlavano da fare invidia ai pazzi, costruite alla buona con due alberi mezzi inclinati, fatiscenti e sporche, terribili all'occhio. In quella bolgia di membra, sventolavano sulla coperta le scuri, le lance, spade e sciabole d'ogni sorta, e baluginavano dei coltelli spezzati. I volti erano tutti smunti e mangiati dal mare, senz'elmi né generali e comandanti in capo a quella massa come di redivivi.

Poi il ragazzo cadde, e schegge volarono attorno. Dei tuoni, da sotto, scossero l'Anar come prodigi divini, e i Barbari spararono al nemico coi cannoni. Furono una, due, tre, venti volte a gruppi di cinque, sostenute dagli improperi degli avversari colpiti. Una delle due navi aveva già la fiancata distrutta, ma rispose all'attacco. Le sfere di piombo rasentarono il ponte di coperta, travolgendo i Barbari sulla tolda. Altre cannonate raggiunsero i guerrieri esposti, macellando i corpi come fosse un mattatoio. I proiettili s'infissero nel legno insieme a brandelli di carne, e alcuni furono bloccati dalle balaustre e ricaddero in mare. I Barbari superstiti s'avvinghiavano tra loro, per pregare di non essere colpiti dalle cannonate incalzanti. Nella confusione, i Norem avevano condotto alcune colubrine sulle coperte per decimare l'equipaggio rimasto sulla tolda. Sparavano ai guerrieri per dar via libera all'abbordaggio, senza curarsi di colpire il ventre dell'Anar. Così il galeone vomitò un'altra bordata micidiale, fredda e tonante. Tutto il veliero rinculò per la violenza delle detonazioni. L'attacco si abbatté sulla seconda nave, il cui scafo non poté far altro se non cedere alle artiglierie. L'unico ponte di batteria, da otto cannoni, venne giù in un attimo sgretolandosi, e trascinò la tolda e i mostri in una selva di tavole spezzate, con le colubrine portate sopra che seppellivano i cadaveri tra il legno. Le bocche da fuoco dei Norem ruzzolarono nell'acqua agitata. Nonostante i danni, la nave non andò a picco. L'albero di mezzana restò fiero a troneggiare sulla carneficina, anzi i Norem vi si aggrappavano per sfuggire all'oceano.

Nel nome di CalidanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora