I grandi alberi, da un po', stavano facendosi solitari, mentre cespugli ingombranti lambivano le gambe della compagnia in marcia.
Il sole era alto e piombava coi raggi sull'erba verde senza scaldarla, provocando gli impigriti occhi del capitano e dei Norem, stuzzicandoli a dimenticarsi della ormai consueta penombra boscosa.
La selva si era svegliata in via definitiva e restituiva all'aria il fremente canto della natura. Uno sciabordio di versi palpitava tra i manti degli arbusti e il coniglio pareva dar corda ai lupi, i fringuelli all'insetto rombante.
Da quando avevano iniziato a intravedere il termine della foresta, Vargan s'era chiuso nel silenzio e Gràen dopo di lui, ma i soldati non avevano smesso di sproloquiare neanche per un istante.
«Adesso conoscete la mia storia ed io la vostra» disse quindi il re. «Parlatemi dunque del vostro popolo, dal momento che ne custodite gli usi e le idee.»
«In realtà, sire, sto avendo modo di mettere in dubbio proprio le informazioni che mi chiedete» ammise il capitano. «Lasciate che vi dica quello che sono certo di sapere.»
«Vi ascolto.»
«Esattamente cinquecento anni fa iniziava la storia del mio popolo, di cui in questi mesi ricorre l'anniversario» cominciò Gràen, mentre già le parole di Rarek gli scalciavano in testa.
Avrebbe voluto declamare a memoria l'intero racconto, ma si rese conto di averne dimenticate alcune parti e dunque si promise di andarlo a rispolverare.
«La nostra patria era in origine una piana rigogliosa e fertile su cui gli animali scorrazzavano felici, in un tempo in cui nessun essere umano ne aveva ancora calpestato i prati. Un giorno, probabilmente di primavera, arrivò a Umek una certa Melain, la quale portava dietro di sé un contenitore pieno di sirion. Nei libri si dice fosse giunta in groppa alle nuvole, dopo aver navigato a lungo per l'oceano.»
A quelle parole, la scorta smise di cianciare.
Vargan brillava come di una luce interiore che filtrava dagli occhi estasiati, colpito nell'anima da quelle fantastiche vicende, da quel racconto che nella testa gli suonava come un flauto divino.
«Questa Melain», proseguì il capitano, «colpita dall'incantevole paesaggio di Umek, decise di fondarvi un piccolo villaggio, ma presto dovette fare i conti con la ridente solitudine di quel posto. Così, dopo parecchi anni, utilizzando il sirion che aveva portato da un continente lontano, riuscì a popolare la sua cittadina con ben sette fanciulle, simili a lei nell'aspetto e nelle maniere, con i capelli argentati e gli occhi di un verde bellissimo. Trascorso altro tempo, iniziò a cimentarsi nell'arte della vita, combinando il sirion nei più svariati modi e riuscendo, appunto, a dare forma al primo Barbaro di Umek. Ecco che allora, d'improvviso, scomparve insieme alle sue compagne e nessuno ne seppe mai il motivo. »
«Quali storie» commentò Vargan, mentre già la Foresta dello Squalo si chiudeva dietro al suo mantello.
«Così belle da averle imparate soltanto leggendole» disse Gràen, rinnovato. «Se solo la memoria non mi avesse tradito di colpo, ve le avrei citate così come sono state scritte da Rarek.»
Di fronte alla combriccola, al di là di un gruppetto di arbusti vermigli, una piana incommensurabile si aprì verdeggiando a perdita d'occhio. La selva proseguiva alla loro destra, mentre dirimpetto, lontano, luccicava un fiume sottile.
Gràen inspirò, il re storse le labbra.
«Saremmo dovuti sbucare da un'altra parte» mugugnò il vecchio. «Hok è al di là di quegli alberi, ma vi giungeremo da una strada diversa.»
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Nel nome di Calidan
FantasyL'intramontabile prosperità di Umek è compromessa da un autunno troppo caldo, mentre tutte le miniere d'oro sembrano essersi esaurite. Re Calidan, avvilito dal destino che si prospetta agli occhi della sua gente, è deciso a trovare una soluzione. C...