«Quanti cannoni?» sbraitò Rèkon al Barbaro che gli stava davanti.
Il compagno lo studiò per pochi istanti comprendendo di non aver afferrato la domanda.
«Cannoni?»
«Cannoni, sì! Quanti cannoni dobbiamo portare?»
L'amico schiuse le braccia e si guardò attorno con aria stupida.
«Per Melain, idiota di un Barbaro, chiedi a Gràen quanti dannati cannoni devo far smontare!»
L'amico sgranò gli occhi e andò a sporgersi dalla battagliola.
Il generale rimase sulla soglia dell'ampia botola che dava sottocoperta, una bisaccia stretta in pugno.
«Gràen vuole parlare con te!» annunciò Bronn dal parapetto.
Rèkon lo raggiunse e si affacciò. L'amico, apparentemente rilassato, attirò la sua attenzione sventolando un braccio. Se ne stava seduto su una scialuppa assieme a una decina di altri guerrieri, circondato da marinai che sguazzavano in mare. Il generale si chiese il motivo di tanta spensieratezza.
«Cannoni, Rèkon?» domandò Gràen, accigliato.
«Cannoni, Gràen, cannoni» disse quasi a bassa voce, poi aggiunse: «ti pare il momento di riflettere?»
«Non saranno necessari, inizia a calare le provviste!» suggerì il capitano manovrando una carrucola immaginaria.
Rèkon scosse il capo, sorridendo disgustato.
«Ma li hai visti? Sono armati dalla testa ai piedi!» protestò indicando la costa ormai vicina.
«Appunto! Se dovessero scorgerci con cinquanta batterie di cannoni, credi che esiterebbero ad affondarci?»
«Ma loro non hanno cannoni!»
«Mi dispiace, Rèkon; niente sangue.»
«Avanti, Barbari, incontro alla morte, deponete le armi!» prese a schernirlo il generale.
Tornò al boccaporto scardinato e annunciò sbraitando il cambio di programma. Brusii di disappunto evasero dal ventre del veliero, mentre una decina di Barbari risaliva le scale e popolava la tolda. Il loro aspetto era poco rassicurante. Avevano cicatrici sul petto e sulle braccia, foderi graffiati appesi a delle cinture di cuoio, bionde e folte capigliature abbandonate allo scorrere del tempo. La maggior parte dell'equipaggio di Rèkon era ridotto così; su quella nave davvero in pochi non erano abili combattenti. Bastava osservare l'aspetto quasi fatiscente dell'imbarcazione per accorgersene. Qualsiasi cosa venisse affidata al generale era solita ricevere l'indelebile impronta del suo autoritario passaggio. Per ciò, Calidan aveva insistito affinché la Gretah venisse assemblata priva di eccessivi fronzoli.
I guerrieri sul ponte organizzarono sotto comando del generale un ordinato andirivieni volto ad ammassare le provviste sulle lance. Rèkon elargiva anche ordini alla ciurma della Silmakrin, ancorata fin troppo vicino alla Gretah; attraverso i portelli, i Barbari avrebbero potuto trasferire le merci da un veliero all'altro.
Mòrek fu il primo a calarsi in mare. Rèkon l'ultimo. Attraversando gli oscuri meandri della nave, giunse alla sua cabina e adagiò la bisaccia sul letto. Da un cassetto sciancato estrasse due bracciali in cuoio tempestati di pungoli, li aprì e se li mise ai polsi con aria solenne. Andò poi a pararsi davanti all'armadio spalancandone le ante. Afferrò due foderi ponendoli sul materasso come a volerli contemplare. Uno era parecchio elegante e recava incastonate numerose gemme, l'altro, di un marrone più chiaro, conteneva la spada ordinaria del generale. Infine, sollevò il materasso per riportare alla penombra una cintura abbellita di rubini. Riunì quanto aveva appena raccattato e abbandonò lo scarno alloggio.
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Nel nome di Calidan
FantasyL'intramontabile prosperità di Umek è compromessa da un autunno troppo caldo, mentre tutte le miniere d'oro sembrano essersi esaurite. Re Calidan, avvilito dal destino che si prospetta agli occhi della sua gente, è deciso a trovare una soluzione. C...