Capitolo XXXVI - Dalla parte di Vargan

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Il sole era incredibilmente luminoso, perché le nuvole bianche si erano ammucchiate tutte all'orizzonte, senza disturbare il cielo terso. I suoi raggi sfarzosi inondavano di gioia le colline su cui si adagiava la città, e così l'erba baluginava di lampi accecanti come un mare ondulato e verde, mossa dal vento gentile che soffiava nella mattina.

All'ombra dei vicoletti di Hok faceva freddo, mentre l'aria fresca era pulita e si poteva respirare a polmoni aperti. Delle volte, il vento s'infilava nelle stradine e costringeva le grondaie malandate a tremare rumorosamente. Dove il sole riusciva a creare delle oasi di luce non si soffriva il freddo, e i delinquenti vi si rifugiavano per scaldarsi, ma alla fine erano obbligati a correre via al richiamo delle guardie che pattugliavano proprio quelle zone accoglienti. Grazie all'affluenza continua di soldati da ogni parte dell'isola, Hok seguitava a presentarsi meno temibile del solito, più affollata e frequentata quasi fosse la capitale.

Il vecchio Grak, il minatore che si era accordato con i Barbari dopo l'assalto alle miniere, aveva scelto Klogak perché sprizzava giovinezza dagli occhi, ma non sapeva quanto l'animo del ragazzo avesse tremato al solo pensiero di andarsene in giro a cercare il re. Per quella ragione, più per paura che per sondare meglio la situazione, Klogak aveva preferito attendere ben cinque giorni prima di decidersi ad adempiere il suo compito. Nonostante i temporeggiamenti, il Norem era riuscito bene ad annusare i sentori nell'aria eccitata di Hok, ma non si era azzardato ad avvicinarsi ai soldati per domandare il motivo della mobilitazione.

In quegli istanti si udì uno scalpiccio disordinato nel vicolo, e poi silenzio. Un sussulto soffocato al momento seguì la quiete. Qualcuno con le scarpe di pezza si era appena messo a correre. Altri passi, più pesanti, si aggiunsero, e Klogak si gettò di lato spostandosi dalla luce in un angolino d'ombra, mettendo le grinfie tra le schegge di legno e alcune pietre appuntite. Sbirciò da una fessura del legno, infilandoci l'occhio terrorizzato. Proprio nel suo ristretto campo visivo, un Norem basso venne acciuffato da due guardie e picchiato.

«Uccidilo» suggerì quella dalla voce più rauca.

Il ladro era stato raggiunto da un pugno al volto e guardava il cielo frastornato. Il militare lo percosse ancora con una sberla, mentre sulla sua faccia squadrata si contorceva un'espressione di sdegno. Lo colpì nello stomaco due volte, finché il delinquente non sputò sangue iniziando ad accasciarsi sull'acciottolato sconnesso.

«Dammelo!» ruggì ancora la guardia, e artigliò la mano del perseguitato.

Con un ghigno soddisfatto si guardò il palmo ove stava un sacchetto di monete insanguinato. Si avvicinò a sua volta al Norem e gli sferrò un calcio con lo stivale di cuoio duro. Il ladro cadde e rotolò per terra, puntellandosi con gli avambracci sulle pietre dure. Un altro calcio, dall'alto, gli spezzò la schiena, e lo sfortunato urlava con la bava tra i canini spezzati. La guardia che aveva raggiunto il Norem per prima si chinò e sollevò il delinquente di peso, infine gli afferrò la testa e gliela sbatté sulla strada due volte. Si sporcò la divisa.

«Mi dispiace, ma la galera è già piena» grugnì. «Accontentati.»

I due giustizieri guardarono il cadavere con sufficienza. Quello più magro fece cenno all'altro di tagliare la corda. Entrambi s'incamminarono verso il fondo del vicolo, con le corde per arrestare i delinquenti penzoloni nell'ombra, legate alle cinture.

«A chi li diamo?» domandò il primo, accarezzando il sacchetto con il bottino.

«Alle tue tasche» rispose il compagno, ma Klogak non lo sentì perché erano già distanti.

Grak aveva raccomandato al ragazzo di indossare la divisa immediatamente, in modo da evitare inconvenienti, tuttavia Klogak era entrato in città con gli abiti logori da minatore e la fortuna gli aveva sorriso. Infatti il Norem né era stato interrogato né guardato con sospetto, perché era riuscito a trovarsi un giaciglio in quella casa divelta, dove dal tetto si tuffava la luce. Se però si fosse vestito da militare, allora non avrebbe dovuto nascondersi al passaggio delle due ronde. Aveva disobbedito al vecchio non per testardaggine, ma perché temeva di venire scoperto e torturato fino alla morte. Per fortuna, Grak non sapeva del fermento di soldati in città, altrimenti avrebbe insistito ancora di più, in quanto era facile confondersi tra gli altri militari, e Klogak in quei giorni l'aveva capito. I rimorsi attanagliavano il giovane per non essere stato tempestivo, e due ore prima aveva stabilito di doversi recare al castello: era trascorso troppo tempo e i minatori e gli stranieri avevano bisogno del re.

Nel nome di CalidanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora