Capitolo XXXV - I misteri di Emeron

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Gràen aveva gli occhi azzurri fissi sul tavolo.

Impreziosite dalla luce che danzava sui rigagnoli blu cobalto, le pietre rosa sfavillavano di un luccichio magico, come se stessero lì a prestarsi un po' di lucentezza o qualche riflesso più intenso degli altri. Le venature celesti erano percorse da un flusso invisibile, un fiume minuscolo d'energia pulsante e s'intrecciavano fra di loro quasi a formare avvolgimenti intricati di capillari vegetali, rami e steli del colore del mare profondo. Le pietre erano per la maggior parte di foggia irregolare, con spigoli e angoli smussati, con graffi bianchi, scalfitture d'argento sottili come un capello. Erano delle dimensioni adatte per stare in tre o quattro nel palmo, in certi punti affilate da far sanguinare la testa se si tiravano da una certa distanza.

Per qualche ragione, a un'occhiata rapida, a Gràen erano parsi solo dei diamanti di un colore insolito, ma non poteva dimenticarne le sfumature azzurre tanto particolari, perché esse avevano brillato nella penombra della casa di Kugrot, sul palmo del Norem sfigurato. Se quel vecchio ne aveva a decine nelle tasche, allora gli stregoni dovevano conoscerlo, oppure egli sapeva di loro. Il capitano avrebbe tanto voluto raffrontarle, ma non era possibile. Tuttavia era certo che fossero le stesse pietre, lo stesso minerale e perciò dovevano provenire dal medesimo luogo.

«Entasm!» tuonò Rèkon nella stanza, ma Gràen oramai ci aveva fatto l'abitudine.

Il comandante alzò lo sguardo per ammirare di nuovo il generale con il braccio proteso in avanti, nel singolare tentativo di evocare qualche cosa.

«Èntiesm» lo corresse per la quarta volta.

«E che vuol dire?» domandò Rèkon, folgorato a un tratto da quell'interrogativo, senza abbandonare la sua posa da stregone.

«Probabilmente significa fuoco» spiegò Gràen, memore del primo incontro con Zurbak.

«Quindi se dico fuoco è lo stesso» ragionò il compagno. «Ma non funziona nemmeno.»

«Potresti provare con la parola blink, Rèkon.»

«Blink?»

«Non so che cosa significhi» lo precedette il comandante, mentre alcuni suoi pensieri andavano a coincidere fra di loro, «ma il Norem che mi ha salvato a Hok ha urlato questa parola diverse volte, mentre moriva bruciato.»

«Allora vuol dire acqua.»

«L'acqua spegne il fuoco, e anche uno... uno degli incappucciati ha usato blink per proteggersi dall'attacco del compagno, un globo di fuoco.»

Rèkon ridacchiò sotto i baffi gialli. Era soddisfatto perché credeva di avere indovinato.

«Forse hai ragione» mormorò Gràen, pensieroso guardando le pietre rosa e azzurre.

«E a che ti serve l'acqua e il fuoco?»

«A noi non servono.»

«Però se quelli dicono ent... èntiesm possono sparare palle che bruciano.»

«Hanno usato la parola blink per fermare un attacco, non per generare acqua.»

«Allora significa un'altra cosa» brontolò il generale, deluso.

Gràen spostò il corpo di lato, voltandosi da seduto verso il compagno. Dall'alto al basso lo scrutò con interesse con gli occhi azzurri. Lentamente socchiuse la bocca, in un impeto di rabbia che lo stava attraversando in quell'istante.

«Perché l'hai ucciso, Rèkon?» gli chiese accusatorio, ma con un filo di rassegnamento.

«Era pericoloso» rispose il Barbaro con sdegno. «Ti volevi tenere un pazzo nell'accampamento?»

Nel nome di CalidanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora