Il mantello di Vargan era svanito oltre gli alberi.
Come spiazzato, Rèkon continuava a guardare l'avamposto Norem in sintonia con la natura. Non riusciva a capacitarsi di averlo trascurato. Gli era sfuggito come un topo che si nasconde tra le gambe del gatto, ingannandolo e manipolandolo a suo piacere. L'architettura del piccolo forte si nascondeva in bella vista e spariva platealmente fra i tronchi e le chiome della foresta. Era stato costruito in pietra, eppure riusciva a confondersi con l'ambiente circostante, come ne facesse parte da tempo immemore. Rèkon si rimproverò ancora per non essersene accorto e sviò di poco lo sguardo. Tre soldati stavano salendo sul fortino per rispondere alle direttive del loro anziano sovrano. Dietro di loro, la foresta sembrava estendersi all'infinito. Era una pineta. Le piante si allineavano al limitare della spiaggia affondando le loro origini nella sabbia intrisa di fogliame. Le radici sprofondavano nel suolo, ma si arrestavano subito per via dell'acqua salmastra; cominciavano allora a salire in superficie e si allargavano tutt'intorno, emergendo, talvolta, alla luce del sole. Con buona parte delle appendici esposte alle intemperie, alcuni degli alberi parevano mostrarsi in un estremo atteggiamento di timidezza verso il suolo, quasi fossero mangrovie in mezzo a uno stagno. Gli arbusti più giovani, seminati dalla natura ai piedi dei cespugli, avevano i rami di un grigio pallido e stentavano a protendersi verso l'alto. Migliaia di pini marittimi coprivano infatti la vista del cielo con le immense chiome a cupola, schierati dal tempo e addestrati dalla legge del più forte.
Il generale non era l'unico a essersi perso in tanta grandiosità. Terminata la contemplazione, Gràen, guardandolo a sua volta, cercava di ricordare in quale altro momento avesse visto Rèkon stralunato a quel modo; non fece in tempo a trovare la risposta, perchè il condottiero, con sguardo soddisfatto, si diresse svelto all'avamposto. Il capitano lo seguì.
Giunti a destinazione, si fermarono ai piedi di una delle due scalinate. Rèkon volse in alto lo sguardo e domandò: «Che diavolo state facendo?»
Gràen lo fissò rassegnato.
Una delle creature che armeggiavano sul fortino fece capolino dalla cima delle scale. Si portava dietro una notevole gobba. Aveva il collo proteso in avanti come un rettile insospettito, la mandibola e gli occhi sporgenti che quasi scappavano dal viso.
«Ordini di Vargan» rispose il Norem con voce stridula. «Il re» puntualizzò.
«Sei un soldato?» proseguì il generale.
Lo storpio isolano frugò affianco a sé. Raccolse un elmetto e lo indossò, preoccupandosi di accogliere le orecchie rotonde all'interno del copricapo piumato. Allacciò la cinghia sotto il mento e stette, per un istante, immobile come una statua.
«Sei vecchio.»
«Sono un veterano.»
Rèkon strinse il corrimano iniziando la scalata. A ruota fu seguito da Gràen.
«Un veterano?» s'incuriosì il capitano.
«Sto nell'esercito da più di vent'anni. Potete capirlo da questo» spiegò la creatura mentre slacciava il casco e ne accarezzava le piume.
Lo mostrò ai due Barbari come fosse un antico cimelio. Di fatto, somigliava a una pentola rovesciata e lucidata per bene. Rèkon lo strappò dalle mani del soldato e, ruotandolo, cercò di capirne le oscure funzioni. Il cinturino doveva servire per tenerlo fisso sulla testa e le piume erano prettamente ornamentali; tuttavia, lo scopo del copricapo nella sua interezza continuava a sfuggirgli.
«Mandali via, Snog» intervenne un secondo Norem, più giovane, ma dall'aria meno spensierata.
Raggiunse a passo fiero i nuovi arrivati e li studiò con gli occhi. Fortuna volle che Rèkon perseverasse con la perizia sull'elmetto, non accorgendosi di ciò che stava accadendo.
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Nel nome di Calidan
FantasyL'intramontabile prosperità di Umek è compromessa da un autunno troppo caldo, mentre tutte le miniere d'oro sembrano essersi esaurite. Re Calidan, avvilito dal destino che si prospetta agli occhi della sua gente, è deciso a trovare una soluzione. C...