Capitolo XIII - Inganno e complotto

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La variegata combriccola entrò nel padiglione dove stava Rèkon. C'erano Gràen, Vargan, Zilge e il resto della scorta, e tutti si accomodarono su dei ceppi che un marinaio andava sistemando in cerchio. Poi il Barbaro uscì e tornò con in braccio un tavolino poco stabile, deponendolo ai piedi della lettiga del generale.

«È tornato» disse Rèkon, fissando con sufficienza il vecchio re.

«Esatto» s'illuminò il sovrano. «E voglio scusarmi a nome di tutto il mio popolo per la notte scorsa, in cui Skull, disobbedendomi, ha irrorato questa spiaggia di sangue amico.»

«Ma noi non possiamo perdonarvelo» si dispiacque il capitano.

«Non potreste se l'avessi condotto io.»

«E chi mi dice che tu e quell'altro non siete d'accordo?» domandò Rèkon.

«Io conosco il motivo per cui siete qui e massimamente vi ringrazio, e vi ricompenserò al più presto così che possiate accertarvi delle mie intenzioni. Pertanto sarete voi stessi, miei amici, a comprendere coi fatti che desidero sconfiggere Skull e mai assecondarlo nelle sue scelleratezze.»

«E perché dovreste ringraziarci? Veniamo da voi a chiedere oro e gemme.»

«È vero, ma lo fate in cambio d'un vicendevole ausilio.»

«Dobbiamo prima sconfiggere questo Skull, Gràen» aggiunse Rèkon dall'alto della lettiga. «Non c'è soldo senza fatti.»

Vargan sorrise, gli occhi provati sognanti.

«Abbiamo visto troppo sangue.»

«E ne vedrete a fiumi, qualora non riuscissimo a fermarlo. Giungerà da voi, ben presto, e vi travolgerà con i suoi ferri. È per questo motivo che celermente vi ho voluti qui, per incominciare a combatterlo.»

«Ma lui non lo sa come siam venuti da queste parti, non può arrivare da noi neanche a provarci» obiettò Rèkon.

In quel momento fece il suo ingresso un Barbaro. Portava un vassoio di legno con dei calici traboccanti di sirion freschissimo, il cui odore si spandeva nell'aria pesante, rinnovandola. Subito i boccali furono sul tavolino e ognuno ne bevve in fretta.

«Ma che...» s'infuriò Rèkon, ma il dolore al fianco gli intimò di starsene zitto.

Zilge, senza impaccio, aveva derubato il generale del suo bicchiere e da esso trangugiava con ingordigia il sirion.

«Sublime, è fresco» commentò.

«Appena raccolto» aggiunse il capitano, occhieggiando da sopra il calice su Vargan, sedutogli di fronte al piccolo tavolino.

«Adesso va meglio, sì, molto meglio di prima» proseguì Zilge sorridendo compiaciuto.

«Bene» disse Vargan. «Sono felice che abbiate accolto il mio rammarico e i miei cordogli.»

«Ho capito bene, allora?» chiese Gràen. «Siete stato voi a chiamarci?»

«E chi altri?»

I due Barbari aggrottarono la fronte.

«Non ringrazierò mai abbastanza, finché avrò vita, il vostro commiserevole sovrano.»

«Conosci Calidan, vecchio?»

Gràen non fece caso alle mancate cortesie del compagno perché si sentì come avvolto da nebbie asfissianti, tremendi araldi di presagi sconosciuti. Il dubbio l'assediava e il sorriso dolce di Vargan gli pareva sfocato. La testa gli doleva.

«Calidan è oramai un mio amico, quasi come lo è per voi.»

«Non riesco... a capire» sillabò Gràen.

Nel nome di CalidanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora