Il ponte della Melain esplose nella notte in un tripudio di scintille arancioni, eruttando lapilli di legno che illuminarono il cielo quasi fossero comete, fiamme suicide.
Il boato spaccò i vetri del ponte. Le vele presero fuoco e in un secondo furono cenere. Scaglie rosseggianti vagarono lente specchiandosi negli abissi, ondeggiando piano per poi morire sull'acqua in subbuglio. Vampate altissime crepitavano sul legno e si allungavano verso le stelle brillanti. Spiraleggiavano attorno all'albero maestro avvolgendo la coffa con le loro grinfie, rinchiudendola in un groviglio inestricabile che mandava fumo come una fornace impazzita.
Le murate dell'ammiraglia vacillarono in preda alle fiamme. Levarono un cigolio di legni e ardendo vennero giù a grandi pezzi, mentre le alberature si spegnevano in mare scricchiolando.
L'oceano sussultò ancora. Sussultò per la Gretah, per la Delna, per la Tania, per la Silmakrin e per il Garil. Altre cinque pugnalate all'orgoglio di un popolo.
Gràen scattò in piedi e agguantò la spada. Barcollò ansante per il catino, le orecchie quasi gli sanguinavano. Rèkon non c'era. Si catapultò all'esterno. I fuochi erano ancora accesi. Le guardie giacevano composte nel loro ultimo istante di vita con le frecce conficcate in gola. Il comandante si tenne a un palo della tenda. Socchiuse gli occhi, passò il braccio sulla fronte e si aggirò nei dintorni per comprendere meglio. Scavalcò riluttante i cadaveri e si guardò attorno, ma non c'era nessuno. Levò lo sguardo e si accorse di una miriade di gabbiani che gridavano volando all'impazzata. Quando poi si voltò in direzione della spiaggia, smise di respirare.
I velieri di Calidan bruciavano dissipando il buio che le avvolgeva. Il fuoco rischiarava l'orizzonte, il sole pareva essersi ridestato. Con alle spalle uno scenario irreale, delle scialuppe tornavano a riva, le nere figure dei Norem che si stagliavano nel rosso. Le acque tutte sembravano sanguinare, i resti delle navi affondavano torpidi e s'inclinavano a seconda della corrente; poi, svanivano per sempre.
Alcuni Barbari stavano abbandonando le tende più lontane, radunandosi in piccoli gruppi.
«Avanti con le daghe!»
Gràen deglutì e si volse.
Un rapido schiamazzare di versi percorse gli alberi, si fece più intenso, si trasformò in un gorgoglio aberrante che sibilava tra le foglie. E allora un corno annunciò battaglia. La selva prese a vomitare creature. Ruggiti striduli si sparsero fra le tende accompagnati da un copioso esercito di mostri deformi.
I Norem travolsero l'accampamento.
Irrompevano all'interno dei padiglioni con le armi sguainate, ammazzavano nel sonno gli inquilini sventrandone le carni assopite. Stracciavano i teli per continuare l'agguato, sbucavano dal di dietro delle tende e uccidevano e spargevano sangue.
Il comandante indietreggiò a piccoli passi e infine si diede alla fuga.
«Allarme!»
«Ci attaccano!»
«Tutti fuori!» intimava Oldor dal bagnasciuga.
I soldati avanzavano inarrestabili. Non uno sfrigolio, non un cozzare di ferri disturbava la notte tetra, ma soltanto le urla disperate di guerrieri impotenti.
Gràen raggiunse i compagni sulla spiaggia. Scalzi sulla sabbia umida, impugnavano le armi e digrignavano i denti come animali selvatici. Non si curavano delle onde impetuose che sferzavano le loro gambe. La corrente conduceva a riva enormi tizzoni ardenti, neri candelabri di quel mare in tempesta. Le lance degli assalitori beccheggiavano spodestando gran parte degli occupanti, ma a quelli riusciva sempre di issarsi a bordo, fradici, con le piume degli elmi sugli occhi bagnati. E dunque proseguivano a pagaiare con tutte le forze, per stringere i Barbari in una trappola letale, schiacciandoli tra la selva e il mare.
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Nel nome di Calidan
FantasyL'intramontabile prosperità di Umek è compromessa da un autunno troppo caldo, mentre tutte le miniere d'oro sembrano essersi esaurite. Re Calidan, avvilito dal destino che si prospetta agli occhi della sua gente, è deciso a trovare una soluzione. C...