Capitolo XXIV - Un cadavere dalle Montagne Alate

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«Gikrut» lo interpellò il generale con fare curioso, e si protese col naso di falco sul volto del compagno seduto. «Mi spiegheresti le ragioni che ti hanno impedito di uccidere quel Barbaro?»

«È stata colpa del vecchio.»

Il mostro distolse gli occhi da Gikrut, e raddrizzandosi guardò in fondo la porta della sala.

«Kugrot» scandì bene Skull. «Sarebbe potuto esserci d'aiuto, oggi.»

«Mi stava uccidendo.»

«Sei quasi morto per una candela» rifletté il generale. «E pure il tuo agguato è fallito per la fiammella di un cerino. Evidentemente, lo straniero ha buoni rapporti con il fuoco.»

«Si chiama fortuna dei perdenti.»

«Dei fuggitivi, piuttosto.»

«Come ha fatto? C'era gente ovunque, il fuoco, le guardie... Impossibile» protestò il veterano con la sua voce da bestia, il pugno chiuso sul tavolinetto. «Forse dovevo prendere più Norem.»

«Era facile» disse Skull.

«Lo so...»

«Ma soprattutto era necessario, e dunque non si doveva fallire» continuò il Norem, togliendosi l'elmetto.

Appoggiò il copricapo sul desco, davanti alle mani del veterano. Con la testa nuda, perdeva il suo nobile portamento. Il suo volto appariva più schiacciato, il naso pareva ritirarsi di un paio di centimetri. Gikrut lo guardò con aria dispiaciuta e insieme arrabbiata, le labbra strette ad arricciarsi per il fallimento, gli artigli che giocavano con le piume dell'elmo di Skull.

«Però non l'hai preso neanche tu» osservò.

«Non ho avuto la possibilità di coglierlo di sorpresa, per così dire.»

Il Norem dalla voce grossa capì quanto vantaggiosa fosse stata la sua opportunità. Il piano di Skull era nato per non fallire il colpo.

«Tra le altre cose, Kergos ha voluto essere d'impiccio nel nome del vecchio.»

«Finalmente l'hai tolto di mezzo» convenne Gikrut.

«Non era necessario.»

«Ma che dici? Perché non l'hai fatto fuori? Dovevo esserci io... L'avrei fatto annegare nel suo sangue.»

«Tu sai non avrei apprezzato» gli rammentò Skull. «Solamente, ho ucciso un paio dei suoi Norem.»

«Sei pazzo» si rassegnò il compagno, l'ovvietà in quelle parole.

«Non fa male a nessuno, ed è uno dei migliori.»

«Fa male alle mie orecchie, quando parla. Ha la voce di un uccello dannatissimo!»

Skull sorrise.

«Il Barbaro è ancora vivo, secondo te?»

«Non l'hanno trovato, ma di certo ci siamo mossi troppo tardi» parlò il generale. «Quando sono usciti a cercarlo era scappato da un'ora.»

«Io dico che i lupi l'hanno sbranato, Skull; era ferito, stanco, una preda perfetta.»

«Ai lupi non piace prendere la carne dal piatto.»

«Spero che tu non abbia ragione.»

Skull sogghignò, e Gikrut mandò fuori l'aria dai polmoni, la mano sulla fronte.

Una porta si schiuse alle loro spalle. Nella stanza incedette uno scalpiccio lento, il tintinnare di una cotta di maglia.

Kulgha avanzava stretto nelle sue fasciature, prima da un lato e poi dall'altro, e aveva nel volto un'impassibilità violata che non voleva dare a vedere. Skull notò la sua presenza.

Nel nome di CalidanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora