Quel poco di luce che rischiarava la soglia tremolava e si rinvigoriva di tanto in tanto, come una lampada a intermittenza. La quercia della porta si dipinse d'oro, colpita dai timidi raggi del sole. Un'ombra annunciò l'arrivo del suo guerriero e si proiettò sull'uscio. Il Barbaro entrò nella stanza con aria preoccupata. Si diresse verso un tavolo al cospetto di una figura grottesca, celata dalla penombra, confusa.
Poderosamente accomodata su una sedia di scarsa fattura, la silhouette dell'uomo lasciava scorgere, dall'uscio, le spalle ampie come quelle di un orso. Gli occhi erano penetranti come quelli di una serpe, ma non se ne distingueva il colore.
Il buio si apprestò a sopprimere anche il loro scintillio, mentre la luce si ritrasse fino a scomparire. Presosi di coraggio, poco confortato da quell'atmosfera, Mòrek riferì a bassa voce il suo annuncio.
«Per la veste di Melain, mi farete impazzire!» tuonò il destinatario.
Sbraitò allontanando con uno spintone il tavolo imbandito. Fu come un'esplosione improvvisa. I calici di legno si rovesciarono sulle assi del pavimento, bagnandole di vino fresco. Il fracasso assordante ridestò i pochi Barbari che si erano assopiti sulle sedie della mensa. Il generale scattò in piedi furibondo, lo sgabello cadde all'indietro. Afferrò una spada e la puntò contro il suo interlocutore.
«Ti appenderò all'albero maestro in modo che i gabbiani possano sbranarti vivo!» urlò.
«I gabbiani?» chiesero alle sue spalle.
«I gabbiani!» ripeté voltandosi con aria minacciosa.
Con un rapido movimento della mano si sistemò i capelli rivelando la fronte imperlata di sudore. Il Barbaro accusato indietreggiò di un passo, pronto a difendersi da quel maestoso guerriero.
«Incapace! Avevo ordinato di non sprecare sirion e tu ne getti due barili a mare?»
«Vado...» balbettò Mòrek.
«No. Corri» intimò l'altro, la voce roca.
Il marinaio si avviò in fretta all'uscita della sala mentre il generale continuava ad ansimare, fissandolo. Si rivolse ai presenti: «Asciugate per terra e sistemate il resto.» E si lasciò cadere sullo sgabello che aveva rimesso in piedi.
Un paio di guerrieri si preoccupò di raccogliere i bicchieri, un altro di riportare il tavolo al suo posto.
La stanza s'illuminò d'improvviso: il sole aveva smesso di nascondersi dietro le nuvole. Le prime luci erano sempre le meno luminose, ma rischiaravano con delicatezza ogni cosa infondendo pace e serenità. Ventiquattro tavoli fecero capolino dall'oscurità, tutti maldestramente ancorati al grezzo pavimento della sala come tanti alberi secolari. Con un soffio, il guerriero spense la candela davanti a sé.
«Finalmente» brontolò alzandosi.
E in quell'attimo, il suo carattere trasudò dalla potenza che sprigionava l'aspetto.
I compagni iniziarono a sparecchiare, il cozzare delle stoviglie riempì la mensa mentre il cigolio degli infissi annunciava una nuova ondata di luce. La maggior parte dei Barbari uscì ad ammirare l'alba ormai passata. Il generale si apprestava a seguirli. Affacciatisi sul mare, si appoggiarono alla battagliola, ammirarono il sole nascente già piuttosto alto nel cielo e si recarono svelti alle camere, come se avessero realmente qualcosa da fare. Come nelle altre navi, gli alloggi si trovavano al di sotto del ponte di coperta.
Il condottiero giunse alla sua camera, spinse la pesante porta socchiusa e osservò la stanza illuminata da una candela prossima allo scioglimento. Si avvicinò alla cuccetta in disordine afferrando uno specchio di legno accuratamente decorato, su cui proiettò il volto per un po' di secondi.
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Nel nome di Calidan
FantasyL'intramontabile prosperità di Umek è compromessa da un autunno troppo caldo, mentre tutte le miniere d'oro sembrano essersi esaurite. Re Calidan, avvilito dal destino che si prospetta agli occhi della sua gente, è deciso a trovare una soluzione. C...