Capitolo XIV - Ricordi nella selva

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«Sono mattinieri» spiegò Vargan, distogliendo lo sguardo dal cielo per rivolgersi al capitano.

In alto tra le nubi carnicine, al di là delle confuse fronde dei pini, uno stormo di kholein, pacato, batteva le ali di smeraldo, e tra una chioma e l'altra il cangiante balenio delle code scintillava come abbagliante rugiada.

«Vanno a ingozzarsi di insetti» osservò Gràen, rapito dal neonato incanto della Foresta dello Squalo.

Sotto agli alberi era tutto un muoversi di bestiole indaffarate, sonnolenti farfalle, ronzii brulicanti di api e di vespe.

Il capitano a malapena aveva salutato Rèkon e Oldor, rifiutando la loro e l'altrui compagnia, tristemente impaziente di partire alla volta di Hok, la disastrata città cui Vargan aveva accennato. A stento, infatti, era l'alba, ma già Gràen assaporava quel senso di libertà tipico di una capatina nei boschi, dimentico a forza degli avvenimenti della spiaggia insanguinata, ormai lontana alle sue spalle.

«Vanno a banchettare con le salme dei caduti della scorsa notte» lo corresse il re, e Gràen convenne che era vero.

Il capitano, per quanto conoscesse soltanto le abitudini dei kholein neri, comprese subito che i loro cugini di Emeron, nonostante il più elegante portamento, vantavano le stesse tetre usanze alimentari.

Il sovrano, a sinistra, era affiancato dai tre Norem della scorta, a destra dal capitano.

Tutti trascinavano i piedi nel folto del sottobosco, sollevando ramoscelli e calpestando timidi e sparuti fiori sgargianti, mentre di tanto in tanto, dalle chiome solenni, piovevano, umidi, aghi di pino morti.

Già i primi pennuti celebravano il giorno canticchiando e gorgheggiando. Erano liberi, adesso, dalle seriose occhiate dei kholein.

A un tratto, poi, il frusciare di frasche si agitò.

La combriccola si voltò indietro, scorgendo invisibili creature sfrecciare nella loro direzione. Le bestiole, correndo nascoste dal sottobosco, mandavano all'aria le foglie secche e rapide si facevano strada, squittivano, scorrazzavano agitate e incominciavano ad arrampicarsi sugli alberi, facendone scricchiolare le cortecce e i rami in un legnoso sfrigolio di minuscoli artigli.

Gràen sorrideva per l'inafferrabile spettacolo.

Invece i Norem, esperti di quella foresta, ringhiarono piano e si strinsero a Vargan, estraendo le daghe. Anche il re parve capire quanto stava accadendo.

«State attento» disse.

Gli squittii divennero più intensi come piccoli, subdoli ruggiti. Giunti a pochi metri dal bersaglio, i piccoli mammiferi si arrestarono lasciandosi ammirare, mentre le foglie, gli steli e i rametti secchi ricadevano al suolo volteggiando come per magia. Altri versi giunsero dalle fronde, quasi fossero di uccelli in picchiata sulla combriccola guardinga. Dopo che i piccoli predatori si furono consultati, sferrarono l'attacco. Sbucarono dal sostrato fangoso saltando addosso a Gràen e alla scorta, e piombarono a frotte anche dal cielo, dai rami più alti, sulla corona del re e sugli elmi dei soldati, sui biondi capelli del capitano.

Gràen, sbraitando buffamente, afferrò un paio di quei topini arancioni dalle code d'oro e li scaraventò via, ma quelli tornarono alla carica più numerosi di prima, ed erano decine e decine di animaletti, centinaia e migliaia di affilatissimi artigli. Il capitano allora si gettò per terra, sporcandosi tutto, e scalciando e dimenandosi combatteva a denti stretti, sfiancato dai morsi che lo facevano sussultare ogni volta. Nel mentre i Norem tentavano di afferrarli con gli artigli snudati, ma finivano per tagliarsi il palmo della mano.

Nel nome di CalidanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora