Capitolo XXXI - Al riparo dalla pioggia

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Quando i raggi del sole ferivano a fondo le nuvole scure, l'oceano sfolgorava a macchie e brillava di stelle irrequiete. Isole come d'argento scintillavano sul mare calmo e triste.

Pure Gràen era stato d'accordo e la combriccola era appena partita all'avventura, all'inseguimento delle figure misteriose. Non era un compito difficile ma era pericoloso, importante, quasi necessario dopo l'ennesimo attacco. Nella notte in cui Calidan s'era di nuovo dannato delle sue scelte, le ombre sconosciute erano tornate alla carica, avevano portato fuoco e fulmini e la struttura che estraeva il sirion era in parte stata distrutta. Un globo di fuoco l'aveva raggiunta e si era incendiata, ma poi la pioggia, salvifica, era intervenuta assieme ai Barbari per spegnere le fiamme.

Così Bronn e altri due guerrieri scomparirono in quel momento tra gli alberi, seguendo le orme sulla sabbia degli sfuggenti nemici.

Sotto al cielo nero, Gràen pregò di rivederli. Non avrebbe potuto dar loro consigli perché stavano avventurandosi a est, da dove le ombre erano solite comparire e dove nessuno mai, in dieci giorni, si era spinto oltre le buche del cimitero. Gli attaccanti o forse gli allevatori, come seguitava a sostenere Zurbak, si erano dileguati la notte stessa, dunque Bronn aveva l'incarico di pedinarli a distanza, sempre se fosse riuscito quantomeno a scorgerli, a star loro dietro.

«Potevo andarci io, Gràen» lo sorprese la voce di Oldor, alle spalle.

«Poteva anche andare Rèkon» disse il comandante, lo sguardo fisso oltre i pini lontani, immobile.

«Credo che non sia ancora in forma per darsi agli inseguimenti.»

«L'importante è che alla fine sia andato qualcuno... Giusto?»

«Quelli rimasti andremo alle miniere» rispose Oldor, e si guardò la mano su cui era scesa una goccia. «Piove anche stanotte?»

«Chissà.»

Gràen volse gli occhi all'edificio del sirion. Ci fu un tuono che stordì il mare.

«Le travi sono cadute giù ed è entrata l'acqua» disse Gràen.

Uno squarcio ampio, annerito, si apriva vicino alla sommità della struttura su cui panneggiava il vessillo di Umek bruciato.

«Andiamo da Borin?»

«Non possiamo perdere anche il sirion, oppure ci ritroveremo senza forze in qualche giorno. E se mai dovessero attaccare...»

«Li abbiamo respinti, Gràen. Non torneranno così su due piedi.»

«Zurbak vuole che io vada a Hok per discutere con Vargan sul da farsi» parlò Gràen e accennò col capo alla tenda di Borin, così Oldor gli stette dietro con la mano sul fodero. «Se mai andrò, potresti accompagnarmi tu. Così puoi vedere quanti soldati e armi hanno in giro nelle strade di una sola città. Li abbiamo respinti, e non tornano solamente perché... Skull vuole che non si attacchi.»

«Questo perché li abbiamo ricacciati indietro» tornò alla sua tesi Oldor.

«Secondo me è impegnato in altre cose e vuole studiare meglio l'attacco per non sbagliare di nuovo. Quando col re sono entrato al castello l'ho incontrato, l'ho guardato negli occhi per un secondo e mi sono gelati il sirion e il sangue nelle viscere.»

«Hai paura di lui» constatò Oldor.

«Tu non hai paura di chi comanda un esercito immenso di mostri?»

«Gràen» lo apostrofò il compagno, folgorato da un'intuizione. «Anche tu comandi dei guerrieri. Tu sei il capo delle Guardie Rosse.»

«È diverso.»

Nel nome di CalidanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora