Mi chiedevo quando avrei rivisto Raymond.
Era quasi passata una settimana e ancora non lo avevo visto, non lo avevo sentito e non avevo la minima idea di cosa stesse facendo.
Nella mia testa ritornava la sua voce che mi diceva "Fantastico! Credo che diventeremo ottimi amici, Ellen", eppure di questo amico non c'era traccia.
Potrei chiamarlo io, pensai. Ma poi mi ricordai che aveva gettato via il suo telefono, quindi questa idea era inapplicabile.
Certo, potrei anche andar a fargli visita, continuai a pensare, ma per dirgli cosa?:"Hey Raymond, sono Ellen! Allora, come va, amico?". Sì, come no.
<<Ellen, tesoro, va tutto bene?>> La signora Priest alla cassa del supermercato mi riportò alla realtà.
<<Mi scusi Signora Priest, ero sovrappensiero.>>, le risposi tirando fuori il portafoglio e pagando la somma scritta sul registratore di cassa.
<<So a cosa stavi pensando, cara; a quel bel ragazzo dall'aria cosmopolita che ha affittato la casa dove abitavate prima.>>, disse prendendo i soldi. <<Com'è che si chiama? Reginald? Ronald? No, aspetta, mi sembrava fosse Scott.>>, continuò.
<<No, non stavo pensando a lui, e no, non si chiama in nessuno dei tre modi. Il suo nome è Raymond.>> Cavolo, ma la mia faccia è un libro aperto, aggiunsi tra me e me.
<<Beh, Ellen, comunque si chiami è davvero carino e non c'è niente di male a fantasticare un po' su voi due.>> Le sopracciglia tatuate della signora Priest si alzavano e abbassavano ritmicamente, ammiccando senza pudore. Io mi sentivo sempre più accaldata, sentivo le guance rosse che si scaldavano sempre di più e il sudore lungo la schiena. Non stavo affatto pensando a noi due in quel senso. Beh, non in quel momento almeno, ma devo dire che c'erano state occasioni in cui avevo immaginato qualcosa di romantico e un po' sdolcinato. Non troppo, sia chiaro.
<<E poi Ellen, da quello che so, a Londra non è che te la stia spassando da quel punto di vista, non so se mi spiego.>> e mi fece l'occhiolino.
Promemoria, pensai tra me e me, ricordare a mia madre di non andare a spifferare cose che riguardano la mia vita privata.
<<Sì, signora Priest, si è spiegata bene.>>, aggiunsi abbozzando un sorriso. <<Saluti sua figlia Diane da parte mia.>>, e me ne andai prima che potesse aggiungere altro.
Sì, la signora Priest aveva ragione. Non è che a Londra me la stessi spassando un granché con i ragazzi. D'accordo, c'era qualche spasimante che aveva dimostrato un certo interesse per me, ma non era altrettanto riuscito a suscitare il mio per lui.
Molto spesso mi capitava di chiedermi se in me ci fosse qualcosa che non andava. Insomma, avevo ventuno anni e avevo baciato un solo ragazzo in vita mia, François, un parigino venuto l'ultimo anno nel mio liceo per imparare l'inglese. Dopo di lui, più nulla.
Avevo provato a cercare l'Amore (sì, quello con la A maiuscola), ma Lui non si era mai fatto trovare, quindi alla fine avevo smesso di cercarlo, almeno nella realtà. Perché c'erano delle volte in cui mi sentivo vicina a Lui più che mai: quando lo incontravo nei libri.
Sì, era nei libri che riuscivo davvero ad innamorarmi. Era ai personaggi che incontravo che donavo il mio cuore. Era nelle ere in cui vivevano che trovavo me stessa.
Molto spesso pensavo che non riuscivo a trovare l'Amore perché una volta che ti sei innamorata di Mr. Darcy, di D'Artagnan, di Edmond Dantes, di Edward Cullen (sì, anche io ho attraversato la fase Twilight) o di altri personaggi, ti sembra impossibile che qualcuno riesca a reggere il confronto con loro nella vita reale. Non c'è paragone in assoluto.

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Quell'estate
RomanceCon mia sorpresa, il ragazzo che venne ad aprirmi la porta non era affatto come me l'ero aspettato. Al posto del barbuto ragazzo dall'aria sorniona, comparve una folta chioma bruna e disordinata che adornava un volto dallo sguardo sveglio e vivace...