Il Mozambico

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<<Ellen, sei sveglia?>>. La voce di mio padre dal piano di sotto mi fece aprire gli occhi. La luce filtrava debolmente dalle persiane chiuse della mia stanza, ma sapevo che era mattina inoltrata.

Mi alzai intontita e risposi a mio padre Tim che sarei scesa subito, giusto il tempo di andare al bagno.

Allo specchio, l'immagine di una ragazza distrutta mi fissava stancamente. Il mascara si era impiastricciato sulle guance e i vecchi segni dell'eyeliner accompagnavano sbiaditi il mio occhio.

Non lo nascondo. Avevo pianto quando ero tornata a casa. Quello che era successo era troppo per una ragazza che non aveva la minima idea di cosa fosse l'amore. Era troppo per me.

Mi pulii la faccia e presi un respiro profondo, cercando di stamparmi un bel sorriso sulla faccia per salutare i miei.

<<Ellen, hai un aspetto orribile.>>. Ovviamente non li avevo ingannati.

<<Grazie mamma.>>, risposi a mia madre dandole un bacio sulla guancia. Mio padre era già salito di sopra a finire i bagagli.

Presi delle uova dal frigo e le strapazzai.

<<È successo qualcosa con qualche ragazzo ieri sera? Che so, magari uno che si chiama Ray?>>. Non so per quale motivo o per quale legge dell'Universo, ma le mamme sanno sempre tutto.

<<No, mamma, non è successo niente di niente con nessuno.>>. Speravo che il mio tono seccato fosse sufficiente a nasconderle la verità.

<<Peccato.>>, disse sorseggiando il caffè. Potevo vedere il suo sorriso impertinente che si celava dietro la tazza.

Mi sedetti accanto a lei e iniziai a mangiare le mie uova strapazzate. Raccontai a mia madre come era andata la serata, omettendo l'episodio con Raymond. Glielo avrei raccontato sicuramente un giorno, ma non me la sentivo di farlo in quel momento, prima di tutto perché non sapevo neanche io che cosa era successo, e poi, perché temevo che i miei avrebbero avuto un ripensamento sul soggiorno di Ray da nonna Jane se avessero saputo che la sera prima avevamo "pomiciato".

D'un tratto il campanello alla porta suonò. Era quasi mezzogiorno e non aspettavamo nessuno. Quando aprii la porta restai spiazzata vedendo quello che mi si parava davanti.

Raymond, i capelli scarmigliati e gli occhiali da sole, si appoggiava allo stipite della porta e mi fissava con quei suoi dannatissimi occhi verdi.

<<Ellen, stai bene?>>. La voce ferma e controllata di Ray mi scongelò e mi riportò alla normalità.

<<St...Sto bene, grazie.>>. La mia invece tremava mentre gli rispondevo. Lo detestavo. Dopotutto quello che aveva combinato ieri sera lui si comportava come sempre, con i suoi modi sicuri e seducenti, e io, al contrario, sembravo un passerotto spaventato.

I passi di mia madre ci raggiunsero alla porta. Grazie al cielo, pensai vedendola.

<<Ciao Ray! Che piacere vederti.>>. Mi scostai e lasciai che mia madre accogliesse l'intruso, cosa che io non avevo fatto.

<<Salve signora Campbell. Spero di non avervi disturbato mentre ultimate i preparativi per la partenza.>>. Mia madre lo rassicurò e lo fece accomodare in salotto.

<<Vado a fare una tazza di tè, ragazzi.>>. E scomparve in cucina, lasciando me e Ray soli in salotto.

La tensione era visibile, era più densa della nebbia delle campagne inglesi. Il problema è che Raymond non faceva niente per diminuirla, anzi, ogni suo gesto la intensificava. I suoi stupidissimi occhi verdi si erano incollati su di me e non mi lasciavano respirare. Di tanto in tanto si passava la lingua sulle labbra secche e faceva correre le mani sui capelli, ma in ogni movimento che faceva, la costante sembravo essere io.

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