Muffin, caffè e cuscini- Raymond

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I muffin che avevamo preparato erano davvero buoni. Anche nonna Jane ci fece i complimenti. Beh, in realtà li fece a me, perché sua nipote era un completo disastro in cucina.

Non era come Rachel. Più le stavo accanto e più me ne rendevo conto.

All'inizio avevo creduto che lo fosse. Il mio stato di necessità mi aveva spinto a farlo, ma più passavo il tempo con lei e più l'ombra di Rachel svaniva, sostituita dalla presenza reale di questa buffa ragazza dagli occhi neri e la risata cristallina.

Era un miracolo che potessi ancora starle accanto. Era un miracolo che non mi avesse cacciato di casa dopo averle raccontato la verità. Ma il problema dell'amore è questo: voler restare con qualcuno nonostante i suoi immensi casini. Ed Ellen, beh, Ellen era ovvio che mi amasse.

Sapevo già da un po' di tempo ciò che provava per me. Sì, me lo aveva confessato in maniera titubante ed innocente quando stavo per baciarla, ma la prova inconfutabile arrivò quando, entrando in camera mia, notò le valige sul letto. Fu allora che notai la sua espressione allarmata. L'espressione di chi non può permettersi di perdere qualcuno, anche se quel qualcuno è una piccola testa di cazzo come il sottoscritto.

La verità è che l'amore si legge negli occhi. Ed io leggevo l'amore che Ellen provava per me anche quando non mi guardava. Anche in quel momento, seduta sul divano mentre insegnava a sua nonna come si usava Skype.

<<E poi clicchi qui se vuoi fare una videochiamata.>>, le disse indicando lo schermo del laptop sulle ginocchia di Jane.

<<Ma è magnifico! Se tuo nonno fosse ancora vivo si lamenterebbe di tutte queste diavolerie.>>. I capelli bianchi di Jane si mossero come un unico corpo mentre lei rideva.

<<Nonna, guarda che qui sei tu quella strana. Quanti vecchietti di quasi novant'anni conosci che hanno un profilo Facebook e usano Skype?>>. Ellen alzò le sopracciglia. La sua espressione era così strana che mi fece sfuggire una risata. Ellen si voltò verso di me come a dire "Beh, che c'è?" e io mimai la sua stessa espressione.

Mi lanciò un cuscino che presi al volo e mi fece segno di tacere.

<<Ah, io sarei quella strana?>>, rispose Jane, <<Voi due piuttosto lo siete. Insomma, è ormai una settimana che siete a Southampton e ancora non avete fatto il bagno al mare.>>.

Non aveva tutti i torti. L'unica volta in cui avevamo messo i piedi a mollo era stato il giorno in cui avevo raccontato ad Ellen la verità. Poi, dal momento che non ci eravamo parlarti per due giorni, nessuno di noi aveva approfittato della presenza del mare.

<<Hai proprio ragione Jane.>>, dissi alzandomi dalla sedia dove stavo e appoggiando sul tavolo la seconda tazza di caffè della giornata. <<Perché non andiamo ora, così per pranzo torniamo qui e sentiamo i tuoi genitori su Skype.>>, dissi rivolgendomi ad Ellen.

<<Sì, beh...tu avviati. Io ti raggiungo tra un po'.>>. Ellen distolse lo sguardo e si arricciò nervosamente una ciocca di capelli.

<<Perché, tesoro?>>.

<<Perché, nonna, prima devo fare una cosa.>>.Ellen guardava sua nonna cercando di dirle qualcosa. Nonna Jane guardava sua nipote con l'aria di chi ha di fronte un pazzo. Una scenda davvero impagabile.

Poi, a nonna Jane si accese la lampadina.

<<Oh, giusto! Avevo promesso di aiutarti con la ceretta laggiù.>>, disse nonna Jane facendole l'occhiolino.

<<Nonna!>>. Ellen divenne degli stessi colori delle fragole e si nascose il viso tra le mani, indecisa se disperarsi o scoppiare a ridere per l'evidente sbadataggine di sua nonna.

<<Smettila di ridere se non vuoi che ti affoghi.>>, mi intimò Ellen dal divano, il viso ancora nascosto.

<<Vediamo se prima riesci a superare la prova della ceretta.>>.

Un altro cuscino volò nella mia direzione. Schivai il colpo e il cuscino colpì la tazza di caffè che avevo messo sul tavolo. Il pavimento di marmo si colorò di marrone. Io continuai a ridere.

<<Ellen, guarda che guaio che hai combinato.>>. Nonna Jane fece finta di rimproverare sua nipote, ma in realtà rideva anche lei, contagiata dal clima di scherzo che regnava in quel momento.

Ellen si alzò a malincuore dal divano e venne verso di me, ancora in piedi accanto al tavolo. Mi dette una leggera spallata e mi fece scansare. Un sorriso imbarazzato intravedevo sul suo viso.

<<Aspetta, ti do una mano.>>, mi offrii abbassandomi a terra per ripulire il disastro. Dopotutto era mia la tazza di caffè ed ero io l'obiettivo verso cui era indirizzato il cuscino.

Nonna Jane ci scrutava seduta dal divano. Più che altro, scrutava sua nipote. La fissava dolcemente, come un genitore che in un istante vede passarsi davanti tutti i ricordi di una vita.

Mi chiesi com'era Ellen da piccola. Se avesse sempre avuto quel naso dritto e quegli occhi neri; se avesse sempre avuto quell'aria severa e dolce al tempo stesso; se si fosse mai innamorata davvero; a chi avesse dato il suo primo bacio; con chi fosse stata la sua prima...

Ellen è pura.

Le parole di Peter riecheggiarono silenziose nella mia testa.

<<Smettila di fissarmi.>> disse Ellen. Eravamo faccia a faccia, seduti per terra.

<<Sì, scusami.>>. Chissà se poteva vedere a cosa stavo pensando. Ma non lo capì, perché un largo sorriso si fece strada sul suo volto.

<<Allora, andiamo o no a fare questa benedetta ceretta?>>. Nonna Jane si alzò in piedi e si risistemò la sua casacca arancione.

Ellen sospirò ormai rassegnata. Il suo sguardo era ancora per me. <<Sì, arrivo.>>.

<<Bene. Tu intanto, Ray caro, vai pure in spiaggia, anche perché credo che avremo da fare.>>. Una risata squillante uscì dalle labbra di quella vivace vecchietta.

<<Nonna!>>.

<<Grazie, Jane. Credo che farò proprio così.>>.

L'ultima cosa che sentii prima di uscire, fu nonna Jane dire: <<Ma di che ti lamenti! Sei fortunata che non abbia il Parkinson, se no sì che sarebbero stati veri e propri dolori!>>.


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