Perth

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La partita era finita più tardi del previsto. Mia nonna, dopo aver accompagnato la signora Cassidy alla porta, si ritirò qualche momento in camera sua. Solo Raymond ed io restavamo a sorvegliare il piano di sotto.

  Erano le sette passate. Il sole, ancora sveglio e ridente, illuminava il salotto con prudenza, posandosi solo su qualche oggetto qua e là, e lasciando nell'ombra le cose che non gli interessavano.

Proprio dal Sole era illuminato il volto di Ray, intento ad apparecchiare il tavolo di mogano del soggiorno. La pelle abbronzata e lucente sembrava riflettere i raggi chiari, come uno specchio nel mare. I capelli scompigliati gli ricadevano morbidi sul volto, nascondendogli parte del profilo.

  Lo guardavo dall'ombra che copriva la cassapanca antica, da uno degli angoli in cui il sole non arrivava.

Ora lo sapeva. Sapeva quello che provavo. Probabilmente mi sarei dovuta sentire spaventata o ansiosa per la situazione in cui mi ero cacciata, perché, beh, non è facile essere amico di qualcuno che ami, ma non mi importava. Ero calma come un mare su cui non soffia vento, perché sapevo che quello che avevo fatto era giusto. Non aveva alcun senso mentire su qualcosa di così vero.
<<Ellen, so di essere dannatamente bello, ma sarebbe meglio se venissi a darmi una mano piuttosto che continuare a guardarmi di nascosto convinta che io non ti veda.>>. Ray prese un tovagliolo da un cassetto e poi si fermò a guardare verso l'angolo buio in cui mi trovavo.

In effetti dovevo sembrare inquietante.

<<Io...non ti stavo fissando!>>, risposi spostandomi verso la luce, <<Stavo dando un'occhiata alla disposizione dei mobili. Penso che forse dovremmo spostare la poltrona e metterla perpendicolare al...>>.

<<Ma per favore.>>. Ray si avvicinò a me dandomi i piatti. <<Mi stavi studiando silenziosamente per confrontarmi con Adam? Non avrai mica dei ripensamenti sull'appuntamento che hai con lui? Ma se li hai puoi sempre dirglielo alla festa di domani.>>. Appoggiai il piatto sul tavolo ascoltando silenziosamente quelle parole.

Per un istante la vocina speranzosa nella mia testa mi disse che era geloso.

Il verde dei suoi occhi zampillava scintille di strani sentimenti contrastanti, almeno così mi sembrava. Era come se tantissime immagini stessero passando ininterrottamente davanti a lui. Chissà cosa vedeva.

Quello che vedevo io era un ragazzo ferito e confuso che cercava di celare il suo stato d'animo con lo scherno e il sarcasmo che ormai avevo imparato a conoscere.

<<Che cosa c'è? Ti rompe che abbia accettato di uscire con un mio vecchio amico? Beh, non mi interessa. Hai chiaramente detto di non essere interessato a me, quindi non comportarti come se te ne importasse qualcosa. Non è affar tuo.>>.

Non perdevo le staffe molto facilmente, ma in quel momento, presa dalla rabbia e dal dolore, sentivo le vene pulsare tanto forte che sarebbero potute scoppiare.

<<Non vorrai farmi credere che ti piace quel damerino da strapazzo?>>. Si passò una mano tra i capelli e con l'altra indicò un punto qualunque della casa, come se lì ci fosse stato Adam.

<<E se anche fosse?>>. Ovviamente non era vero, ma volevo vedere fin dove riuscivo a spingere le sue parole, qual era il suo confine di equilibrio.

<<Non prendermi in giro, Ellen. Sei innamorata di me.>>. Mi mise una mano sulla spalla e mi guardò dritto negli occhi. <<Esci con Adam solo per farmi ingelosire, e sai che ti dico? Che per me puoi fare quello che ti pare, puoi anche farti scopare da quell'idiota e fingere che ti piaccia, ma poi, quando gli avrai dato quello che vuole e lui non ti cercherà più, non venire a piangere da me, perché non starò lì a leccare le tue insignificanti ferite d'amore.>>. Uno sguardo beffardo e presuntuoso si insinuò nelle sfumature di verde delle sue iridi.

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