47. Not everyone can be saved

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Max
La cosa peggiore che poteva succedere, era successa. Harry stava con me per pietà, non per amore. Amore. Probabilmente da parte sua non ce n'era mai stato. E la cosa che mi faceva soffrire ed incazzare al tempo stesso, era che io per lui avrei dato la mia stessa vita. Avrei pagato con la mia anima per qualcuno che non se n'era mai fregato un cazzo di me, per qualcuno che non provava quello che provavo io, per qualcuno che mi aveva fatto solo del male. Nel momento stesso in cui lo avevo conosciuto, mi ero ripromesso che non gli avrei mai raccontato di mia madre. Non volevo essere un peso, non volevo costringerlo a stare con me per compassione. Semplicemente non volevo che mi guardasse con occhi diversi per quel motivo. Avrei voluto che si innamorasse di me per quel che ero, per quel che ero in grado di dargli, per quello che ero diventato grazie a lui. Non avevo mai chiesto nulla nella mia vita. Non mi ero mai affidato a nessun Dio inesistente. Avevo combattuto sempre con le mie forze, prendendomi ciò che mi spettava di diritto. Non mi sembrava chiedere molto. Volevo essere avvolto da  un sentimento genuino, puro. Un sentimento che fa perdere la testa, che fa sorridere in qualunque momento e per qualsiasi cosa. Volevo un sentimento che mi riscaldasse. Avevo bisogno di sentire caldo, di scottarmi, di bruciarmi. Volevo essere tutto quello per Harry, perché lui lo era già diventato per me con una velocità spaventosa. Volevo essere amato come io amavo lui, magari non nello stesso modo, sapevo che era impossibile. Il mio amore era folle e malato. Ma se solo fossi riuscito a strappargli un po' di quell'amore che mi spettava, allora mi sarei ritenuto soddisfatto. L'avrei considerata una vittoria.
In quel momento mi sentii spogliato, nudo, vulnerabile. L'umiliazione prese possesso delle mie membra. Harry non doveva saperlo. Non doveva sentirsi incatenato a me, obbligato a restare con me. Non doveva decidere di sacrificarsi per me, senza parlarmene, agendo di testa sua. Probabilmente voleva fare la cosa giusta, ma la situazione gli si era rivoltata contro. Io non meritavo quel tradimento. Ma lui aveva deciso di fare l'eroe, chissà per cosa poi. Che senso aveva stare insieme, se poi non mi dava quell'amore e quelle attenzioni di cui tanto avevo bisogno? Io non volevo stare insieme a lui, io volevo il suo amore, in qualunque forma si manifestasse. Mi ero annullato per Harry. Lo avevo messo al centro di tutto, della mia stessa vita, di ogni mio pensiero o azione. E mi sentivo preso in giro. Chissà da quanto tempo era a conoscenza della mia storia, chissà da quanto aveva deciso di fare l'agnello sacrificale senza che nessuno glielo avesse chiesto. Chissà cosa pensava adesso di me. Avrebbe creduto che fossi un matto, uno psicopatico che aveva collegato l'immagine di sua madre con il volto di un ragazzo, e che non riusciva più a separarli. Un ragazzo malato. Un malato d'amore alla ricerca disperata di una briciola di quel sentimento tanto ignoto. Ma se il mio amore era una malattia, allora avrei voluto infettargli i miei germi.
"Va' via" mi ritrovai a sussurrare con la voce rotta da un pianto imminente.
Sapevo che lo avrei fatto. Sapevo che avrei pianto in sua presenza, per la prima volta. Perché quella situazione e tutto quello che provavo, era più grande di me e non sarei riuscito a tenermi tutto dentro ancora una volta. Ero debole, lo sentivo. Sarei crollato perdendo anche quel minimo di dignità che mi era rimasta.
"Max, ti prego, io..." ballettò con lo sguardo pentito per aver detto una parola di troppo. Ma ormai era troppo tardi. Far finta che non fosse successo nulla era inutile e senza senso.
"Vai via, cazzo!" gridai in preda alla collera.
Odiavo il suo faccino innocente e ferito. Odiavo il mio bisogno di abbracciarlo e di dirgli che andava tutto bene. Lui aveva sbagliato, aveva torto. Ero io ad avere il bisogno di essere consolato. Ero io quello che stava cadendo a pezzi, perdendo l'unica persona che mi avesse fatto sognare qualcosa di più bello, colui attorno al quale avevo costruito un mondo di speranze.
E mi ritrovai a piangere. Le lacrime bagnarono il mio viso con prepotenza. Era come se tutte le lacrime che non avevo versato in quegli anni, volessero venire giù proprio in quel momento. Mi sentii svuotato. Era come se la mia anima si stesse alleggerendo, come se il macigno che trasportavo, quel dolore immenso, stesse scivolando via, lasciando posto solo alla rabbia. Una rabbia incontrollabile e senza limiti che faceva paura anche a me. Portai le mani al volto e mi coprii gli occhi. Assaporai il sapore delle lacrime che si rincorrevano sulle mie labbra. Erano incredibilmente salate. Harry mi guardava sgomento non sapeva cosa fare. Probabilmente qualunque mossa avrebbe solo peggiorato la situazione. Quindi rimase lì, ad aspettare che mi calmassi. Mossa sbagliata. Non credevo che piangere fosse così liberatorio, disintossicante. Mi ero tenuto tutto dentro per troppo tempo, avevo lottato contro me stesso per impedire a quella parte della mia anima di uscire allo scoperto, ma adesso lo avevo fatto, quel momento era arrivato lasciando solo il vuoto. Il nulla più assoluto. Le goccioline d'acqua smisero di straripare. Quelle già sfuggite dagli argini rimasero lì a bagnare gli occhi e ad inumidire le guance. Il mio sguardo distrutto divenne affranto e rabbioso. Il mio viso si deformò. Ero sicuro che non sarei riuscito a riconoscere me stesso riflesso allo specchio. Le iridi si offuscarono, tutte le immagini divennero ombre. Strinsi i pugni. Una vena andò ramificandosi sulla mia fronte. Harry era ancora lì. Doveva andare via, altrimenti gli avrei fatto del male.
"Ti rendi conto di quello che mi stai facendo?!"
"Max, l'ho fatto per te... perché ci tengo."
"Appunto. Ti sei risposto da solo, Harry. Tu ci tieni a me, ma io non ho bisogno di questo. Niall tiene a me. Sebastian tiene a me. Takashi tiene a me. Tu dovevi fare solo una cosa. Dovevi amarmi, Harry! Ma non l'hai fatto e fa male, così male che vorrei che lo provassi sulla tua pelle."
"Posso provarci. Io posso amarti, Max."
"Non ho mai voluto la compassione di nessuno e, di certo, non comincerò adesso col volere la tua."
Sentii le lacrime premere di nuovo.
"Scappa finché sei in tempo, o giuro che non risponderò delle mie azioni."
"Io non vado da nessuna parte!"
Perché si ostinava così tanto? Lo stavo liberando, dannazione! Doveva solamente uscire da quella stanza e non farvi più ritorno. Poteva farlo, non avrei obbiettato. Invece no! Lui credeva di poter risolvere la situazione. Voleva fare l'eroe ancora una volta, ma non glielo avrei permesso. Non doveva continuare con il suo atteggiamento da crocerossina. E se non lo capiva, beh... glielo avrei fatto capire io. Non tutti possono essere salvati.
Mi trattenni dal trovare un'ennesima risposta alla sua presa di posizione da gridargli addosso. Quello che dovevo dire, lo avevo già detto. Osservai la cornice con una nostra fotografia. Avevo tanto voluto quel piccolo ricordo sul nostro comodino, in modo tale che, nelle mattine più surreali, nelle quali il pensiero di Harry poteva sembrarmi solo uno scherzo del post sbornia, un'allucinazione, mi avrebbe riportato alla realtà, consolandomi dell'esistenza effettiva di quel ragazzo nella mia vita. Ecco, quella fotografia era uno stupido appiglio ad una realtà finta e logorante. L'afferrai e, senza pensarci due volte, la scaraventai contro Harry. Non volevo colpirlo, o almeno credo. Volevo solo spaventarlo. L'oggetto volante andò a colpire lo specchio alle spalle di Harry. Un rumore assordante ci invase. Un vetro tagliò il suo zigomo. Quell'immagine mi riportò a quella notte in discoteca, durante la quale Harry fu colpito da una scheggia provocata da un mio sparo. L'unica differenza era che, quella volta, non mi dispiaceva essere la causa del suo dolore. Anzi, mi allettava. Il sangue che macchiava i suoi tratti gentili, mi divertiva. Harry sgranò i suoi occhioni verdi e mi guardò. Non portò neanche la sua mano a sfiorare il taglio. Voleva dimostrarsi coraggioso. Non demordeva. Ma, ormai, ero fuori di me. Forse Harry non aveva battuto ciglio perché credeva che il mio gesto non fosse intenzionale. Ciò voleva dire che avrei fatto qualcosa che non avrebbe lasciato fraintendimenti. Mi avvicinai a lui, al suo sguardo limpido e infuocato, alla sua pelle candida rovinata da un segno scarlatto. E lo feci. Uno schiaffo forte, tanto potente da fargli perdere l'equilibrio, si schiantò sul suo viso con furia. E il quel momento la vidi: la speranza, la fiducia, il coraggio, abbandonarono i suoi occhi smeraldini.
"Ho detto che devi andare via" sussurrai con voce distrutta.
Mi voltai dandogli modo di andare via senza essere osservato da me. E stavolta lo fece. Scappò lontano da me. Quello era il suo posto e lo sarebbe sempre stato.
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Erano ancora le tre di notte, o del mattino, a seconda dei punti di vista. Forse poco meno. Quel San Valentino ormai trascorso, era stato esattamente come quello degli anni precedenti, anzi peggio. Mi ero illuso di aver trovato l'amore e poi avevo perso anche quell'ignobile illusione. Non ero sicuro di essere pronto a sopportare tutto quello. Ero solo, di nuovo. Ormai ci avevo fatto l'abitudine ad essere abbandonato. Non piacevo a nessuno. Forse la solitudine era la migliore compagnia che potevo permettermi. Affondai nel buio della camera da letto e, in quel momento, desiderai di addormentarmi per mai più risvegliarmi. Sarebbe stato tutto più semplice. Avrei lasciato che il dolore se ne andasse via con me. Era il prezzo da pagare. Tuttavia sapevo che dall'altra parte - semmai fosse esistita un'altra parte - mi aspettava solo un'eternità di tormenti. Quell'aura negativa mi avrebbe accompagnato per sempre.
Uno spiraglio di luce mi colpì in pieno viso. Una sagoma si avvicinò a me, sedendosi per terra, al mio fianco. Non c'era bisogno di domandarsi chi fosse. Era Niall. Lo avrei riconosciuto tra mille. Portò le ginocchia al petto e ci posò la testa sopra, girando il viso nella mia direzione. Voleva parlarmi. Succedeva sempre così. Fissava i suoi occhi cerulei nei miei dello stesso colore e attendeva. Non sapevo esattamente cosa, ma restava lì a guardarmi per un po'. Forse voleva leggere nella mia anima, oppure donarmi un po' del suo amore, non lo avrei mai capito.
"Ho visto Harry fuggire" ruppe il silenzio.
"Vuoi parlarne?" aggiunse con tono pacato, come se stesse parlando a un bambino o a un cucciolo di cane.
Non risposi. Sembrava avessi fatto un voto di silenzio. Non volevo mostrarmi debole anche di fronte a lui. Mi ero umiliato già una volta, non lo avrei fatto una seconda. Niall mi aveva visto in tutti i modi possibili, in ogni circostanza, con diversi umori, ma mai come con Harry quella notte. Distolsi lo sguardo e fissai il vuoto dinanzi a me.
"Max..." sospirò pesantemente, ma non si arrese.
"Io e Zayn abbiamo chiuso" disse di getto, come se stesse parlando del tempo.
"Non avevate chiuso già da un pezzo?" non resistetti dal punzecchiarlo.
"Oh, vedo che di questo ti va di parlare!" mi accusò, ma stava scherzando. Lo capii dal tono di voce, non c'era bisogno di guardare il sorriso sghembo che sapevo si fosse formato sul suo viso proprio in quel momento.
"Comunque, mi correggo. Io ho chiuso con Zayn. È stato difficile ma l'ho fatto. Non ci crederai, ma è stato proprio lui a farmi capire come stanno le cose. E non lo odio per quello che mi ha fatto, tutt'altro, gliene sono grato."
Non capivo il senso del suo discorso.
"Mi ha insegnato che non bisogna ancorasi al passato. So che è rassicurante, l'ho provato sulla mia pelle. Ma dobbiamo prendere in mano la vita e andare avanti. Prima o poi arriverà il nostro momento e tutto il dolore che abbiamo provato ci sembrerà lontano, ormai lo avremo lasciato alle spalle e saremo finalmente pronti ad essere felici."
Adesso era tutto più chiaro. Voleva far riferimento alla sua vita per dare un consiglio a me. Non dovevo essere così attaccato al ricordo di mia madre, che apparteneva al passato. Non dovevo permetterle di condizionare il mio presente. Dovevo lasciarla andare, così come lui diceva di aver fatto con Zayn. Ma era davvero così? Lui stava veramente bene, adesso?
"Come stai, Niall?" domandai guardandolo negli occhi e mi ritrovai a desiderare ardentemente la risposta.
"Adesso bene" sorrise, ma sapevo che non era un sorriso vero.
Voleva convincere sé stesso di stare bene, ma semplicemente non era così. Non poteva essere cambiato così velocemente. Non poteva aver smesso di soffrire da un giorno all'altro. Lui voleva solamente affrettare questo cambiamento, in modo da passare immediatamente alla fase successiva, ovvero quella nella quale sarebbe stato bene.
"Ti ho chiesto come stai, veramente, Niall."
"Perché devi rendere tutto così difficile, Max?!" sbuffò.
"Tu non stai bene."
"Forse hai ragione, ma almeno io ci sto provando!"
Era arrabbiato. Stavo facendo crollare tutte le sue certezze, i suoi buoni propositi. Lo stavo mettendo di fronte alla realtà, ma questo è il compito di un amico, no?
"Sono solo, Max. Ormai siamo soli entrambi. Dobbiamo farci forza a vicenda" la tristezza nella sua voce era palese.
Io non volevo essere triste, non volevo rassegnarmi alla felicità.
"Harry non va da nessuna parte. Lui resta con me."
E ad un tratto in miei pensieri persero la loro razionalità. Le mie emozioni, già forti, presero il sopravvento, impossessandosi di me, travolgendomi come uno tsunami. Era come se quella frase non fossa stata pronunciata da me. Quella voce non era mia. Stava parlando una parte di me che non conoscevo, che mi era estranea, lontana. Un ghigno andò delineandosi sul mio viso. Sapevo quello che dovevo fare.

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