Prologo

16.2K 501 248
                                    

HO DA POCO POSTATO UNA NUOVA STORIA, SI CHIAMA "CICATRICI SUL CUORE". È UN PO' DIVERSA RISPETTO A QUESTA, MA SE SIETE ALLA RICERCA DI QUALCOSA DI NUOVO VI INVITO A DARLE UN'OCCHIATA, LA POTETE TROVARE SUL MIO PROFILO.❤️

C'è una storia dietro ogni persona. C'è una ragione per cui loro sono quel che sono. Loro non sono così solo perché lo vogliono. Qualcosa nel passato li ha resi tali e alcune volte è impossibile cambiarli.
S. Freud

Osservo le nuvole; mi ricordano molto lo zucchero filato di cui sono sempre stata ghiotta ed un po' mi si scalda il cuore a questo pensiero. Poi la voce robotica che proviene dagli altoparlanti mi riporta alla realtà, informando tutti noi passeggeri di essere arrivati a destinazione.

Riesco a vederla dal finestrino, la città che si erge sotto ai miei piedi ed una strana sensazione, simile ad un formicolio, mi si forma alla bocca dello stomaco. La stessa sensazione che mi ha accompagnata in questo viaggio di oltre sette ore, insieme a quesiti a cui non sono riuscita a dare una risposta. Lancio un'occhiata alla mia destra: so quanto l'atterraggio possa dare fastidio a Tyler, le palpebre serrate e la mascella contratta ne sono la prova. Poggio una mano sopra la sua per confortarlo; lui spalanca gli occhi, sorpreso dal gesto, ma si rilassa quando gli mostro uno dei miei sorrisi rassicuranti.

Non importa quanto, ormai, mi sovrasti con la sua statura, quanto gli cresca la barba o come cerchi di nascondere ogni emozione dentro di sè, lui sarà sempre il mio fratellino, quello che da piccolo voleva la luce accesa durante la notte, perché il buio lo spaventava troppo, quello che aveva trovato un uccellino ferito per strada e se ne era preso cura fino a quando non fu di nuovo in grado di volare, quello che pianse dopo aver visto Bambi, quello da proteggere contro tutto e tutti. Ad ogni costo.

Terminato il trambusto iniziale in cui le persone fanno a gara per arrivare per primi davanti alle porte e scesi dall'aereo, recuperiamo i nostri bagagli, o almeno uno di noi lo fa: passo una buona mezz'ora a litigare con una vecchietta che sostiene come la mia valigia sia in realtà la sua. Alla fine riesco a farla ragionare, mostrandole cosa è racchiuso al suo interno; la biancheria con gli orsacchiotti non è certo adatta a una ottantenne. Ma, ora che ci penso, non è adatta nemmeno ad una ragazza di quasi diciotto anni; credo che dovrò fare un salto al centro commerciale, una volta sistematami.

Concluso l'imbarazzante teatrino, io e mio fratello ci sediamo su una panchina, all'ingresso dell'edificio. Allungo il collo più di una giraffa, cercando con lo sguardo in mezzo a tutti quegli sconosciuti il suo volto.
«Non verrà», afferma convinto Tyler. Scorgo dell'amarezza nelle sue parole; so a cosa sta alludendo e non voglio nemmeno pensarlo.
«Non dire così», lo ammonisco, alzandomi e ponendo le mani sui fianchi, accigliata.
Solleva un sopracciglio e mi lancia un'occhiata seria. «Andiamo, sorellina, lo sai meglio di me».
Mi mordo il labbro, prima di rispondere: «È nostro padre, Ty...».
«Ed è proprio per questo che sono sicuro di ciò che dico», ribatte il ragazzo con non tanto velato disprezzo.
«Beh, quello che dici è sbagliato», asserisco, cercando di credere alle mie stesse parole. La verità è che per quanto all'apparenza cerchi di mostrarmi sicura, dentro non lo sono affatto. So che negli ultimi anni il rapporto con nostro padre si è andato un po' a deteriorare, ma lui non ci lascerebbe mai all'aeroporto, vero?

Le mie aspettative, sicuramente più positive di quelle di mio fratello, non vengono deluse quando scorgo, in mezzo alla folla di persone che aspetta l'arrivo dei propri cari o che li saluta un'ultima volta, prima che partano per destinazioni più o meno lontane, un uomo sulla quarantina, con una divisa poliziesca e dei lineamenti molto familiari, farsi strada tra la gente per raggiungerci. Rivolgo lo sguardo al ragazzo, appena alzatosi, accanto a me e gli mostro un sorriso soddisfatta e trionfante come a volergli dire: "te lo avevo detto".
«Eccoli qui, i miei ragazzi!» ci saluta calorosamente tirandoci in un alquanto imbarazzante, ma allo stesso tempo caloroso, abbraccio di gruppo, uno di quelli che né io, né Tyler siamo più abituati a ricevere, ma che a me, tutto sommato, non dispiace.
Tyler, però, al contrario mio, fa subito per staccarsi, «Sei venuto per sbatterci in prigione?», borbotta in tono sarcastico, alludendo al fatto che indossa la sua divisa da lavoro.
Papà si stira le maniche con fierezza. «No, certo che no, anche se sono sicuro che qualche ora al fresco non ti farebbe tanto male», risponde scherzando, anche se non ci potrei mettere la mano sul fuoco.
Il ragazzo fa una smorfia, per niente divertito da quella che dovrebbe essere una battuta del nostro vecchio, immaginandosi, probabilmente, come sarebbe trascorrere davvero qualche ora in una cella, «Magari un'altra volta».

DisasterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora