Capitolo 18

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«Davvero quello sarebbe un film horror?» domando ironicamente chiudendo lo sportello dell'auto dietro di me. Aaron mi raggiunge ridendo, accompagnandomi sotto il portico di casa. «Dipende, se horror fosse sinonimo di comico allora sì», asserisce lui.

È stato davvero carino con me ed abbiamo passato una piacevole serata insieme al fast food e poi al cinema. Non mi ha fatto sentire a disagio nemmeno per un istante, neanche quando le persone sedute intorno a noi, in sala, ci hanno rimproverato perché facevamo troppa confusione, dicendo che non c'era proprio niente di cui ridere; ma non potevo fare a meno di piegarmi in due dalle risate: gli attori, in quel genere di film, fanno sempre cose stupide.
In quel momento mi è sembrato di essere tornata alle elementari e la cosa non mi è dispiaciuta affatto; non ricordo nemmeno quando è stata ultima volta che ho provato tanta spensieratezza. Non credevo che nonostante gli anni passati e le cose successe mi sarei potuta sentire così bene in sua compagnia.

È evidente: Aaron tira fuori la parte migliore di me, quella pura ed innocente che credevo non esistesse più, facendomi dimenticare della persona che sono diventata e della sofferenza e l'oscurità che hanno caratterizzato gli ultimi otto anni della mia vita.

«Grazie per la serata. Mi sono divertita molto», gli sorrido con sincerità, una volta giunti di fronte la porta di casa.
«Sì, anch'io», sorride di rimando, dondolandosi sui talloni con le mani in tasca, leggermente in imbarazzo. Sospira e «Allora, immagino che questa sia la parte in cui mi avvicino per baciarti».

Aspetta... Chi ha mai parlato di un bacio?

Prima che possa rendermene conto sii avvicina lentamente a me, che resto immobile nel vano tentativo di assimilare le sue parole. «Posso?» domanda titubante, quando i nostri nasi si sfiorano.

E adesso? Che faccio?

Il panico si impossessa di me: è da molto tempo che non ho quel tipo di contatto labbra contro labbra con il sesso maschile e non sono neppure sicura di ricordare come si faccia.  L'ultima volta che un ragazzo si è trovato ad una distanza tanto ravvicinata con la mia bocca, l'ho allontanato e sono finita in un canale, rischiando di annegare.

Ma non ci sono pontili davanti casa mia, solo un ragazzo dagli occhi color ghiaccio che freme, aspettando una mia risposta. Una parte di me vorrebbe entrare subito in casa e chiudersi la porta alle spalle, ma non posso fare così; non posso allontanare ogni ragazzo che mi si avvicini solo per quello che mi è successo. 

Mi faccio coraggio e muovo leggermente la testa, in silenzio, per fargli un cenno di approvazione. Il moro prende un bel respiro e in pochi attimi le sue labbra sono sulle mie, le braccia muscolose mi cingono i fianchi mentre io poggio le mani sul suo torace. Mi irrigidisco, quando, inaspettatamente, la sua lingua chiede accesso alla mia bocca, cosa che, però, gli concedo, provando a lasciarmi andare, a dimenticare ogni cosa.

Niente.

Niente farfalle nello stomaco, niente palpitazioni, niente terra che trema sotto i piedi.

La sensazione che provo è... Piacevole, ma niente in confronto al modo in cui mi sento ogni volta che sono vicina a Justin.

Perché sto pensando a lui?

Spalanco gli occhi in un sussulto, non appena mi rendo conto del paragone fatto dalla mia mente e spingo bruscamente Aaron via da me, sciogliendo il nostro bacio.

«Qualcosa non va?» mi chiede preoccupato.

Il mio respiro è pesante ed irregolare, e tremo, quasi, a causa della confusione nella mia testa. Non riesco a guardarlo in questo momento. Boccheggio in cerca di aria, ma soprattutto di parole da dire. Cerco di convincermi che si sia trattato solo di uno stupido scherzo del mio subconscio, perché non saprei spiegarlo altrimenti. E scuoto la testa, sforzando un sorriso:  «No... È tutto perfetto».

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