Capitolo 31

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«Spero tu stia scherzando», borbotto incrociando le braccia al petto, picchiettando il piede più volte sull'asfalto, mentre osservo con disappunto il biondo di fronte a me scavalcare il cancello un po' malconcio di un cortile.

Dopo avermi, letteralmente, trascinato per un paio di isolati ed avermi, infine, fatto salire sulla sua Range Rover senza darmi alcuna informazione -nonostante le mie continue ed insistenti domande- eccoci giunti nel quartiere di Tenderloin, più precisamente nei pressi di Market Street. Nei miei primi dieci anni vissuti in città non ero mai stata da queste parti, dal momento che è considerato come uno dei posti più degradati e malfamati della zona, il Bronx di San Francisco, per intenderci; o almeno il Bronx che la maggior parte delle persone pensa di conoscere: avendo passato gli ultimi otto anni in quel distretto di New York so che quella altro non è che una fama che si porta dietro da troppo tempo ma che è ben diversa dalla realtà di oggi. Mi auguro che siano stereotipi anche quelli riguardanti Market Street, anche se devo ammettere che il tizio che ci voleva vendere della marijuana poco fa era piuttosto inquietante.

Non era questo che intendevo quando ho detto di voler conoscerlo meglio.

Una volta saltato dall'altra parte della recinzione, Justin si volta verso di me, avvicinandosi alle sbarre in metallo che adesso ci dividono, «Rilassati bambolina. Non sono nemmeno due metri di altezza, ti prendo io», un sorriso beffardo si forma sul suo volto mentre piega le ginocchia e tende le mani verso di me, già in posizione per afferrarmi come se fossi un sacco di patate.

Se crede davvero che salterò è pazzo.

«Introdursi in una proprietà privata è un reato!» esclamo saccentemente. Non mi farò arrestare per lui, se lo può scordare; già mio padre lo detesta, ci manca solo che mi sbatta in una squallida cella a causa sua.
Il ragazzo mostra un piccolo ghigno, «Non se la proprietà in questione è la mia», dice spiazzandomi.

Sono un tantino confusa.

Sono quasi certa che la mia mandibola sia caduta a terra per la sua affermazione, «Co-cosa?» balbetto involontariamente ed incredula.
Si avvicina alle sbarre del cancello e «Questa è casa mia, Cassie», ripete meglio, assumendo un tono più serio, «La mia vecchia casa».
Resto disorientata mentre nel mio cervello cerco di elaborare l'informazione, al punto tale che perdo momentaneamente le mie capacità di linguaggio. Tuttavia, nonostante sembri dire la verità, non posso fare a meno di mostrare dello scetticismo, «Se davvero è casa tua perché dobbiamo scavalcare il cancello come se fossimo dei ladri?» chiedo accigliandomi.

«Non è evidente?» domanda Justin stupito, come se avessi detto la cosa più insensata del mondo. Rifletto in silenzio per cercare la logica che, evidentemente, a me sfugge ma che lui ha colto all'istante; penso e ripenso fino a quando il biondo, accortosi probabilmente della mia difficoltà nel trovare una risposta, non pone fine ai miei dubbi: «Perché così è più divertente», risponde fiero facendomi cadere le braccia. Scuoto la testa e mi maledico mentalmente per non aver immaginato un simile ragionamento da parte sua.

Quanto stupido può essere?

Non faccio in tempo per replicare e dirgli quanto tutto questo sia ridicolo che mi zittisce incitandomi a raggiungerlo.
«Scordatelo», controbatto con fermezza, «Non scavalcherò questo cancello!»
«Ti facevo più tosta, Anderson», dice lui squadrandomi dalla testa ai piedi con uno sguardo pieno di dissenso, lo stesso che molto spesso gli rivolgo io.

Usa le mie stesse armi contro di me, astuto.

Detesto che si facciano certe insinuazioni su di me; tutto sono eccetto una fifona, ma detesto ancora di più che sia lui a dirlo, anche se solo per provocarmi; perché, mi duole ammetterlo, sa sempre quali nervi scoperti toccare.

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