Capitolo 39

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Parlare con nostro padre, proprio come avevo immaginato, non si è rivelata una passeggiata. Forse, è stata una delle cose più difficili che Tyler avesse mai fatto. Ma ce l'ha fatta, col mio aiuto, certo, ed io sono fiera di lui per questo piccolo grande passo.

La stessa cosa non si può dire di papà: ho visto i suoi occhi azzurri, sempre luminosi, essere attraversati da un'unica emozione.

La delusione.

Non verso me o mio fratello, ma verso se stesso. Probabilmente questa, per lui, è stata l'ennesima dimostrazione di quanto pensa di aver fallito nel suo ruolo di genitore; tuttavia non gliene faccio una colpa: in parte, come sorella, la responsabilità è anche mia, avrei dovuto capire prima il malessere di mio fratello. Durante l'infanzia e la prima adolescenza ha visto delle cose brutte, entrambi le abbiamo viste, ma mentre io ho affrontato i drammi del passato cercando di apparire forte -anche per lui che, non gliel'ho mai detto, ho sempre ritenuto essere più tenace di me, nonostante i suoi due anni in meno-, mentre io ho reagito in questo modo, lui ha cercato conforto nelle cose e nelle persone sbagliate, gridando aiuto senza qualcuno che lo sentisse. Un modo del tutto sbagliato per chiedere soccorso, ma pur sempre un modo. Ed io avrei dovuto cogliere subito la sua richiesta.

Nei giorni successivi papà si è preso un po' di ferie e ci siamo concentrati esclusivamente su Tyler, cercando di stargli vicino ed è stato bello passare del tempo insieme solo noi tre, per quanto le circostanze non fossero delle migliori. Abbiamo discusso e siamo arrivati alla conclusione che un aiuto da un esperto non avrebbe potuto fargli male. Lui, all'inizio, ha protestato come sempre, ma alla fine siamo riusciti a convincerlo che è solo per il suo bene e che andare da uno psicologo non è roba per schizzati con le rotelle fuori posto. A New York non abbiamo mai avuto la possibilità di poter andare da un analista ed il Dottor White sembra un tipo in gamba. Una volta spiegatagli la situazione mi ha chiesto se volessi anch'io essere presa in cura, visto che ho vissuto le stesse esperienze di Tyler, ma gli ho detto di non preoccuparsi, che io ho superato quella parte del mio passato, anche se non è del tutto vero, e che, adesso, mio fratello ha la priorità.

Poi, è arrivato venerdì, il giorno in cui sarei dovuta uscire coi ragazzi per andare al bowling; Luke mi ha chiamata per chiedere conferma ed io, gentilmente, gli ho risposto che non me la sentivo di uscire. Fortunatamente, lui non ha fatto altre domande. Immagino avesse capito; era con me quando ho visto Tyler prendere dell'erba da uno spacciatore.

E adesso, il fine settimana è finito e così anche le lezioni del lunedì; Tyler ha una seduta col Dottor White e, quindi so che lui e papà non saranno di ritorno prima di qualche ora, dato che lo ha accompagnato e, di conseguenza, non ho molta fretta di tornare a casa una volta uscita da scuola, perciò non mi dispiace quando, in cortile, Sam mi raggiunge per parlare. Del resto, ultimamente, non abbiamo avuto più modo di vederci se non a lezione. Mi lascia andare solo quando le prometto di fare un'altra uscita tra ragazze. Poi, salgo in macchina.

Durante tutto il tragitto cerco di concentrarmi esclusivamente sulle lasagne che ho intenzione di mangiare una volta arrivata a casa; il mio stomaco brontola dato che non ho trovato nulla di commestibile a mensa oggi.

Quando infilo le chiavi di casa nella serratura, però, noto che la porta è aperta.

Papà deve essersi scordato di chiuderla prima di uscire, penso e spero.

Ma per poco non mi prende un infarto, nell'intravedere una figura nel soggiorno.

«Oh porca...», sobbalzo portandomi una mano al petto, «Aaron!» esclamo, poi, rilasciando un sospiro di sollievo nel vedere il ragazzo dagli occhi di ghiaccio e non qualche ladro.
Lui mette le mani in bella vista e «Scusa, non volevo spaventarti. Mi ha fatto entrare tuo padre, ha accompagnato tuo fratello ad una di quelle sedute».
Faccio per levarmi la giacca ed appenderla. «Quindi lo sai...» mormoro senza andare nei dettagli; la sua risposta arriva quasi subito: «Tyler starà bene, è un ragazzo in gamba».
Presso le labbra tra di loro e «Sì, beh, lo spero», commento facendomi piccola nelle spalle.

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